I numeri dell’industria mondiale dell’aviazione secondo la Gama

Di Gregory Alegi

Un mercato stabile in lieve crescita nei numeri e in calo nel valore, in ripresa rispetto ai minimi toccati nel 2012, ma ancora lontano dal record del 2008. È questa la situazione che emerge dal rapporto annuale della General aviation manufacturers association (Gama), che riunisce un centinaio di costruttori di aeromobili, motori ed equipaggiamenti, ma anche società di servizi. Il valore delle vendite ha superato i 23,9 miliardi di dollari, in calo di circa 900 milioni sul 2016. Le consegne hanno toccato i 2.324 aeromobili, 56 in più rispetto all’anno precedente, ma l’aumento è stato tutto nel segmento meno redditizio (motori a pistoni, + 66 unità), mentre il più pregiato settore a turbina è in lieve calo (-10).

L’aviazione generale è un settore di dimensioni enormi, che comprende “tutto ciò che vola che non sia militare o servizio commerciale regolare”. In questa definizione tanto ampia rientrano quindi sia le attività sportivo-ricreative sia quelle di lavoro aereo. Si tratta di un ambito spesso bistrattato da politici e regolatori, entrambi in diverso modo prigionieri dell’idea che questo tipo di volo sia uno sfizio costoso e improduttivo. I dati Gama raccontano un’altra storia. Dal turismo al soccorso d’emergenza, dal traino striscioni agli executive intercontinentali, dalle scuole di volo all’acrobazia, l’aviazione generale conta circa 446mila aeromobili di ogni tipo e dimensione, per un terzo in Europa (136mila macchine). È su questi aerei che nascono, tra gli altri, i futuri piloti di linea, soprattutto da quando non è più possibile drenare a costo zero personale formato dalle Forze armate.

Un altro ruolo essenziale è quello dei collegamenti veloci con le località minori: negli Usa, per esempio, le compagnie aeree servono circa 400 aeroporti, mentre l’aviazione generale ne raggiunge oltre 5mila. Il mercato è per circa due terzi negli Stati Uniti, dove gli aeromobili con motori a pistoni, a turbina e a getto hanno quote abbastanza omogenee. In Europa, dove i numeri sono molto inferiori, le quote hanno tre diversi gradini, con gli aeromobili a pistoni fermi al 9,5%, i turbopropulsi al 12,8 e i jet addirittura al 17. Come associazione di categoria, la Gama tenta di promuovere la crescita del settore con azioni mirate.

Tra i successi del 2017 vi sono la possibilità di effettuare voli commerciali con monomotori a turbina, che l’Easa ha accettato dopo circa venti anni di pressioni e la revisione e semplificazione delle regole di certificazione per gli aeromobili da aviazione generale (che negli Usa si chiamano FAR Part 23 e in Europa CS-23). L’associazione resta invece contraria alla privatizzazione del controllo del traffico aereo statunitense, nel timore che ciò si traduca in maggiori costi e minori servizi per l’aviazione generale, penalizzata a favore dei grandi operatori commerciali. La privatizzazione è però un cavallo di battaglia dell’ala dura del partito repubblicano, scatenando il timore che tutto venga affrontato in termini più politici che operativi.

Il cuore del rapporto Gama sono però i dati sugli shipments, le consegne effettive da parte dei costruttori associati, complete addirittura di prezzo (sia pure aggregato). Si tratta quindi di uno strumento indispensabile per comprendere le dinamiche e le tendenze del mercato. L’utilità è doppia quando si voglia analizzare la situazione italiana, in quanto spesso le aziende rendono disponibili all’associazione di settore dati che in Italia non diffondono. La nostra industria è da sempre assente nei jet d’affari, un segmento che da solo vale circa metà del totale (10,404 miliardi USD), con macchine che vanno dai bireattori a doppio corridoio (quest’anno rappresentato da un solo A330) al minuscolo Cirrus SF50. Al primo posto c’è Cessna, con 180 velivoli (+2 sul 2016), seguita da Bombardier con 140 (-23), Gulfstream con 120 (+5), Embraer con 109 (-8) e Dassault stabile a 49. Nei turboelica, segmento da 563 aerei e 1,490 miliardi USD, poco meno del 5% del totale, l’Italia è presente con la sola Piaggio Aerospace, che dichiara di aver venduto due P.180 Avanti Evo, contro tre in ciascuno dei due anni precedenti. Il biturboelica italiano, che nel 2008 era arrivato a 30 consegne, serve anche quale base per l’aereo a pilotaggio remoto P.2HH Hammerhead. Nel quadro della più recente ristrutturazione dell’azienda ligure, il 26 aprile il Consiglio dei ministri ha peraltro approvato la cessione del progetto dell’Avanti – trasformato per l’occasione nel “ramo d’azienda Evo” alla società PAC Investments, che a sua volta dovrebbe concederne a Piaggio una licenza quinquennale rinnovabile.

Per comprendere il potenziale della categoria basta spostarsi appena oltre confine, in Svizzera, dove Pilatus ha consegnato 86 monoturbina (-14), dei quali 83 veloci PC.12 e un rustico PC.6, sempiterno mulo da soma ormai prossimo a uscire di produzione. Ma, a dimostrazione che i prodotti che rispondono a una effettiva domanda trovano un mercato, volano alto anche Air Tractor (133), Beechcraft (106 dei gloriosi King Air), Cessna (84) e la francese Daher (54).

La posizione migliora con i motori a pistoni, un segmento da 718 milioni USD nel quale Tecnam consegna 171 su 1.119 aerei. Per il costruttore campano, in terza posizione mondiale dietro Cirrus (355) e Cessna (238) e davanti a Diamond (137) e Piper (108), si nota un rallentamento di una ventina di unità rispetto ai 190-191 dei tre anni precedenti, ma anche lo spostamento dai semplici P92 e P2002 verso il sofisticato P2010 e il bimotore P2006T, che tocca le 39 unità. Gli altri costruttori italiani di questo segmento, Blackshape e Vulcanair, non compaiono nell’elenco in quanto non aderiscono alla Gama.

Negli elicotteri, tradizionale punto di forza italiano, il dato Gama consente di fare chiarezza sul difficile 2017 di Leonardo Helicopters. L’ultima versione del rapporto, aggiornata a fine marzo con i numeri del quarto trimestre di Leonardo, assenti dal rapporto principale, mostra purtroppo un importante arretramento sul 2016. La società ha consegnato 148 elicotteri “propri”, compresi due CH-47F per l’Aviazione dell’Esercito, cioè 24 in meno rispetto al 2016 (172) e 12 in meno rispetto al 2015 (160). Anche aggiungendo la quota italiana dei 40 elicotteri NH90 costruiti con i concorrenti franco-tedeschi, il costruttore italiano è dunque in quarta posizione mondiale dopo Airbus Helicopters (369, di cui 125 nel segmento dei monomotori leggeri), Sikorsky (337, di cui 165 militari e 172 civili, in calo di 9) e Bell (252, di cui 60 militari e 192 civili, in crescita di 21 unità).

Benché diffusi in ritardo, questi numeri aiutano a comprendere e analizzare l’insistenza dei vertici di Leonardo sulle difficoltà della divisione elicotteri. Dal 2014 al 2017 l’AW139, baricentro dell’offerta dell’ex AgustaWestland, è passato da 118 a 45 macchine consegnate, perdendo nel solo ultimo anno 18 esemplari senza una corrispondente crescita dei modelli più recenti via via entrati in catalogo in base al concetto di famiglia. Se il rapporto Gama offre molti spunti di riflessione, si tratta pur sempre di una immagine statica anziché in movimento. Per capire le tendenze bisognerebbe per esempio considerare gli ordini e i nuovi programmi, che restano subito fuori l’inquadratura. Tre esempi su tutti: il bireattore svizzero Pilatus PC.24, certificato il 7 dicembre 2017 e consegnato al primo cliente il 7 febbraio 2018; il biturboelica canadese Twin Otter, rimesso in produzione a basso ritmo tempo fa sotto il marchio Viking, escluso dai dati perché la ditta non aderisce all’associazione; il bimotore a pistoni Tecnam P2012 Traveller, la cui certificazione è prevista quest’anno con consegne dal 2019. Come tutti i rapporti, insomma, anche quello Gama va letto con attenzione per non farsi sviare da ottiche di breve periodo.

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