La sonda Cassini-Huygens si prepara al Gran finale e alla conclusione della sua avventura. Il gioiello della Nasa, progettato 35 anni fa per lo studio del sistema di Saturno, domani concluderà il suo viaggio, dopo 13 anni in orbita attorno al “signore degli anelli”. Cassini in questi anni ha fatto scoprire, grazie anche alla grande antenna realizzata dall’Agenzia spaziale italiana (Asi), con il contributo dell’industria spaziale italiana, alcuni segreti delle zone più profonde dello spazio, raccontando la dinamica degli anelli e dell’atmosfera di Saturno, quella di Titano, le attività dell’altra luna Encelado e di altri satelliti.
La sonda ha compiuto quasi 300 orbite di Saturno, macinando oltre 7,8 miliardi di km. Ha eseguito 2,5 milioni di comandi, scoperto sei nuove lune, raccolto 635 Giga di dati grazie ai quali gli scienziati delle 27 nazioni che vi hanno preso parte sono riusciti a pubblicare circa quattromila articoli scientifici e prodotto ben 450mila immagini. La missione Cassini-Huygens, congiunta tra Nasa, Esa e Asi, è un programma che si è distinto per un crescendo di successi. La missione era stata programmata per durare quattro anni, ma l’eccezionale qualità dei sistemi e degli strumenti di bordo e i numerosi successi conseguiti hanno indotto la Nasa, nel 2008, a estenderne l’attività, permettendo agli scienziati di catturare una varietà di cambiamenti stagionali, tra cui l’osservazione di un terzo dei quasi trent’anni che Saturno impiega per girare intorno al Sole.
Di grande rilievo è stato il contributo italiano alla missione. In base a un accordo di collaborazione bilaterale con la Nasa, in Italia sono stati infatti sviluppati l’antenna, cuore delle telecomunicazioni della sonda e parti fondamentali del radar, lo spettrometro Vims e il sottosistema di radioscienza (Rsis). L’Asi ha inoltre sviluppato, per la sonda Huygens, lo strumento H-Asi, Huygens atmospheric structure instrument, che ha misurato le proprietà fisiche dell’atmosfera e della superficie di Titano. Cassini-Huygens è stata anche la prima missione di esplorazione del sistema solare a cui l’Italia e l’Europa hanno partecipato. Una pietra miliare dell’attuale conoscenza del più spettacolare dei Pianeti esterni del sistema solare, dimostrando al contempo come la cooperazione internazionale può aumentare e dare maggiori possibilità di conoscenza dell’universo in cui abitiamo. Uno degli obiettivi principali della missione, immaginata dall’inizio degli anni 80, era la scoperta della superficie sconosciuta di Titano, nascosta dalle fitte nubi. Oggi, grazie alla missione sappiamo come è fatta. Sono state determinate temperatura e pressione atmosferica di Titano durante la discesa di Huygens, scoperta la composizione chimica della superficie grazie allo spettrometro ad immagine Vims, determinata l’esistenza di un oceano di acqua nelle profondità di Titano ed Encelado e attraverso il radar si è appreso dell’esistenza di vasti laghi di metano ed etano.
A queste informazioni si è aggiunta anche la scoperta, avvenuta grazie all’intuizione di un giovane ricercatore italiano, della profondità e della quantità totale di questi mari di idrocarburi. Prima del tuffo conclusivo nell’atmosfera del Pianeta, la sonda ha continuato a trasmettere dati al team che l’ha seguita per quasi vent’anni. Cassini, che ad aprile aveva iniziato le manovre conclusive della sua spettacolare missione, ha utilizzato fino all’ultimo otto dei suoi strumenti scientifici. In particolare, i dati delle ultime tappe sono stati ricevuti dal 1° settembre anche in Italia, grazie all’Sdsa (Sardinia deep space antenna) che equipaggia il Sardinia radio telescope (Srt) dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf). In particolare, il Sardinia deep space antenna (Sdsa) a partire da gennaio diventerà ufficialmente operativo nell’ambito del Deep space network della Nasa, ma fornirà servizi di comunicazione e navigazione anche per le sonde interplanetarie europee, specializzandosi in particolare per quel
le marziane, in vista della human exploration del pianeta.
“L’insediamento dell’Unità Asi in Sardegna – ha detto il presidente dell’Istituto nazionale di astrofisica, Nichi D’Amico – e l’attenzione che la Nasa pone alle performance del radiotelescopio Srt e dei nostri laboratori di sviluppo, aprono grandi prospettive”. “Il centro di controllo e gli equipaggiamenti del Sdsa installati in antenna offrono grandi potenzialità – ha detto il capo programma Salvatore Viviano dell’Asi – che utilizzeremo, nella tempistica di impiego esclusivo dell’antenna da parte dell’Asi, per fornire servizi di telecomunicazione, tracking e radioscienza per le missioni interplanetarie, in coordinamento con il Deep space network (Dsn) del Jpl/Nasa e, in futuro, anche all’interno della rete di Estrack dell’Esa, a supporto di missioni della stessa Asi di altre agenzie spaziali”.
I passi successivi del progetto prevedono il rafforzamento delle dotazioni strumentali e umane che permetteranno, entro il 2020, la piena capacità operativa del Sdsa nel fornire servizi completi come stazione per il deep space internazionale, affiancando all’attuale capacità di ricezione in banda X, quella in banda Ka e, a seguito di una opportuna fase di progettazione, la trasmissione nelle bande X e K, quest’ultima specificatamente per la radio scienza.