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Il Libro bianco della difesa è il primo stadio di un processo concettuale e organizzativo che si
completerà con una terna di documenti: la revisione strategica, la pianificazione tecnico-operativa quindicennale e la legge pluriennale (6 anni) per le risorse di bilancio. Impatto molto positivo, con qualche area grigia. Ad esempio il tema delle risorse, fondamentale per la fattibilità dell’insieme, è solo accennato sul piano concettuale (produttività delle risorse e controllo della spesa) e obbliga dunque a un atto di fede nei documenti da emanare. Nulla sul target di spesa del 2% del Pil, accettato almeno come trend in ambito Nato. Opportunità politica contingente o progressivo abbandono del target? Si vedrà. Tra le novità troviamo gli interessi nazionali, spesso dibattuti altrove ma non ancora codificati in un documento governativo di policy, la cui tutela porterà a definire gli obiettivi “nuovi e realistici” per la difesa e la sicurezza. Rimangono i tre pilastri (Nato con adesione proporzionale alle possibilità, Europa più produttrice di sicurezza, Onu per un ruolo globale con una partecipazione credibile). Forse in questo contesto si sarebbe potuto accennare a un livello di impegno massimo nei vari scenari di interesse (input di valenza politica) senza attendere la revisione strategica. Uno dei cardini del Libro bianco è la trasformazione delle Forze armate, anche attraverso una più spinta integrazione in senso interforze, foriera di vantaggi sul piano operativo e della spesa: assolutamente condivisibile. Attenzione però a non esagerare, svuotando progressivamente di significato il ruolo delle singole Forze armate e andando troppo oltre lo spirito e certamente contro la lettera della legge 25/1997 (art. 7, comma 2). Il senso di appartenenza e le tradizioni dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica (e dei Carabinieri) non sono un abito sfilabile a piacimento, sono forma e sostanza di qualunque strumento militare, come del resto riconosciuto dallo stesso Libro bianco; occorre quindi custodirne il valore. Non sembra che ciò sia avvenuto a sufficienza, ad esempio nell’addestramento e nella formazione del personale, dove si pensa a una nuova organizzazione interforze piuttosto che a un utilizzo migliore di quella esistente, razionalizzandola e riducendone i costi e le eventuali duplicazioni con la formula del lead service, già in parte impiegata nella logistica di sostegno, evitando così di affrontare nuovi costi a fronte di risultati incerti. In questa ottica appare anche eccessiva la denominazione (forse mutuata da altri Paesi) di vice comandante per le operazioni, prevista per il comandante del Coi; induce a pensare che lo stesso svolgerebbe una funzione vicaria del vero comandante (il Csmd), non indispensabile e anche fuori luogo a meno che si pensi di elevare questa figura al rango di Csm di Forza armata (cosa del tutto sconsigliabile). Tra le tante novità positive c’è la ricostituzione su nuove basi delle forze di riserva, da sostanziare con la formula più opportuna per noi. Delle quattro tipologie indicate (specialistiche, complementari, supplementari e di mobilitazione), le ultime due appaiono di difficile realizzazione e mantenimento capacitivo (a causa della complessità dei sistemi d’arma); sono molto costose e forse in rapporto ai prevedibili scenari di impiego non servirebbero tanto. Per tutta la riserva rimane comunque l’area del finanziamento. Sul piano ordinativo è del tutto condivisibile una struttura organizzata per funzioni strategiche. Lo stesso dicasi per le articolazioni del bilancio: personale, operatività dello strumento militare (funzionamento, addestramento, adeguamento capacitivo, sviluppo tecnologico) e operazioni, da inquadrare anche in chiave bilancio statale/patto di stabilità. Stesso giudizio positivo sul target di forze operative (2/3 del totale) caratterizzate da sempre maggiore flessibilità e utilizzabilità operativa (nuovo modello professionale). Personale più adattabile, giovane, per un modello che assicuri anche una buona compenetrabilità della difesa con la società civile. Obiettivo da perseguire con un assetto in cui il servizio permanente e quello a tempo determinato dovrebbero nel tempo equivalersi sul piano quantitativo. In generale tutto il capitolo delle risorse umane presenta molte innovazioni, compreso l’aspetto delle carriere, il trattamento economico, il reinserimento nel mondo del lavoro (progetto giovani e progetto lavoro futuro) e la valorizzazione delle professionalità.