Il conflitto sotto il segno dell'aviazione

Di Alessandro Cornacchini

L’aviazione si presentava alla grande prova della prima guerra mondiale in modo non così sprovveduto, come spesso si è voluto far credere. Sebbene in ritardo soprattutto nella produzione di velivoli competitivi e, in parte, nell’organizzazione sul campo di battaglia, ha saputo, con un’azione efficace, risalire la china e ottimizzare un dispositivo all’altezza degli avversari, moderno ed efficiente. Con il velivolo Caproni Ca.3, ha saputo esprimere il primo bombardiere strategico della storia dell’aviazione; indicato come la sintesi dei concetti fondamentali del potere aereo, resi vitali in una favorevole sinergia e congiunzione intellettuale tra il pensatore Giulio Douhet, l’industriale Caproni e il più grande “testimonial” dell’epoca, Gabriele D’annunzio.
Ventotto giugno 1914, è una domenica mattina quando l’arciduca Ferdinando e sua moglie, Sofia Chotek, arrivano alla stazione di Sarajevo. L’Europa è in uno stato, almeno apparente, di prosperità e di pace, e nulla fa presagire che 37 giorni più tardi inizierà una delle più terribili tragedie che l’umanità ricordi. Il conflitto che inizia in quell’estate del ‘14 avrebbe causato la mobilitazione di 65 milioni di soldati, decretato la fine di tre imperi, provocato la morte di 20 milioni di persone, tra militari e civili, e 21 milioni di feriti. Una catastrofe dalla portata biblica intercalata da orrori di ogni genere e ritenuta la causa scatenante delle sciagure che si sono succedute nel XX secolo. Si ritiene che sia stata la prima calamità del secolo breve da cui sono discese tutte le altre, questo è uno dei punti verso cui migliaia di studiosi di diverse estrazioni e nazionalità convergono. I più prestigiosi analisti delle relazioni internazionali, d’altra parte, classificano i fatti e gli eventi del 1914 come la crisi politica per eccellenza, tanto ingarbugliata da rendere convincente qualsiasi ipotesi interpretativa. Quello che colpisce in realtà l’osservatore di oggi è la sostanziale modernità della crisi del 1914 che la rende più comprensibile all’uomo contemporaneo rispetto a quello appartenente a un passato anche recente. D’altra parte, la dinamica dei fatti scatenanti e le relazioni che a essi sottendono è di sorprendente attualità: dietro l’attentato di Sarajevo si nascondeva un’organizzazione terroristica che coltivava il culto del sacrificio, della vendetta e che esprimeva gruppo di fuoco di dinamitardi suicidi. Questa organizzazione aveva una caratteristica extraterritoriale, non era collocata geograficamente, era costituita in cellule e aveva relazioni con i governi ufficiali a dir poco non ortodossi. Le affinità con il mondo moderno sono fin troppo semplici. Ecco questo sinteticamente il quadro generale che racchiude l’immane tragedia della Grande guerra. Ma dalle parti nostre cosa accadeva. Come si giunse a quel 24 maggio 1915, data dell’entrata in guerra dell’Italia contro l’impero Austro-Ungarico? Quale il ruolo dell’aviazione?
Questo centenario è, come spesso accade negli anniversari importanti, anche l’occasione per una rilettura degli eventi salienti di quel passaggio epocale del 1915, compreso lo scardinamento di alcuni luoghi comuni fortemente radicati nella lettura della nostra partecipazione alla Prima guerra mondiale. Primo fra tutti la “leggenda nera” del tradimento italiano, cara a una certa storiografia “continentale”, ma anche un’interpretazione della Grande guerra in chiave totalmente negativa, come per anni è stata dispensata a generazioni di alunni sui banchi di scuola. Una guerra spesso rappresentata come non si deve, svincolata da una seria prospettiva storica, decontestualizzata, con modalità che la rendono del tutto incomprensibile o semplicisticamente come il frutto della convergenza di più follie o di biechi interessi. In quest’ambito ci si deve anche interrogare se il ruolo dell’aviazione così come per decenni rappresentato, sia effettivamente rispondente alla realtà. Crediamo sia opportuno anche in questo campo, a distanza di un secolo dai fatti, andare oltre i miti e le suggestioni più comuni come quello di una guerra aerea fatta essenzialmente dagli assi della caccia, proposti come eroi “cappa e spada” che agivano come avessero una questione personale con il nemico, in una sfida continua e macabra con la morte. Che agissero insomma non in aderenza di quei concetti basilari della dottrina aerea che proprio nella Grande guerra, invece, poneva le basi dei principi universali del potere aereo e introduceva quella definizione di competenza ambientale che è oggi la ragion d’essere dell’Aeronautica militare. Un’aviazione insomma che si presentava alla grande prova in modo non così sprovveduto, come spesso si è voluto far credere, ma che, sebbene in ritardo soprattutto nella produzione di velivoli competitivi e, in parte, nell’organizzazione sul campo di battaglia, ha saputo, con un’azione efficace, risalire la china e ottimizzare un dispositivo all’altezza degli avversari, moderno ed efficiente. Un’aviazione, intesa in senso lato, che ha saputo esprimere, tra l’altro, con il velivolo Caproni Ca.3, il primo bombardiere strategico della storia dell’aviazione; indicato come la sintesi dei concetti fondamentali del potere aereo, resi vitali in una favorevole sinergia e congiunzione intellettuale tra il pensatore Giulio Douhet, l’industriale Caproni e il più grande “testimonial” dell’epoca, Gabriele D’annunzio.