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Il piano del governo Industria 4.0 si rivolge anche, e forse soprattutto, al settore della difesa e aerospazio. È quanto emerge dalle parole del ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda, intervenuto all’evento “Rinascimento industriale” che Avio Aero, azienda aeronautica del gruppo General Electric, ha organizzato a Roma in collaborazione con Formiche.

Il coinvolgimento del comparto difesa nella politica industriale del governo nasce da una constatazione di carattere geopolitico: l’Italia è al centro di “al centro del bacino di crisi. Si pensava – ha detto il ministro – che la partita si giocasse nel Mar cinese meridionale e invece il Mediterraneo è tornato centrale”. Ne consegue una generale rivalutazione dell’importanza della difesa, forse sottovalutata dal “sogno della globalizzazione” che ha illuso l’Occidente dopo la fine del confronto bipolare. Oggi, la difesa è determinante per gli interessi strategici e la sicurezza del Paese. La valutazione di Calenda va ad aggiungersi a quanto detto nella stessa occasione dal ministro Pinotti, ma assume una valenza diversa perché riferito specificatamente al piano Industria 4.0, il cui obiettivo è sostenere la digitalizzazione della manifattura nazionale per acquisire competitività internazionale. Proprio per queste ragioni, le industrie del comparto difesa sono ampiamente coinvolte nella logica di dialogo della Cabina di regia introdotta dal piano del governo. “La partita dell’innovazione va giocata insieme”, ha affermato il ministro ricordando gli importanti ritorni economici, anche in campo civile, degli investimenti effettuati nel settore difesa. “La ricaduta (degli strumenti messi a disposizione del Piano) va identificata su ciò che le imprese ci dicono, ma poi si gioca un’altra partita, quella relativa a ciò che serve alla difesa; e questo deve dirlo la difesa”, ha detto il ministro.

Il piano Industria 4.0 prevede un impegno pubblico di circa 13 miliardi attraverso, per lo più, incentivi fiscali agli investimenti privati. Ciò che però il ministro Calenda ha tenuto ha spiegare è la visione del mondo su cui quest’iniziativa di politica industriale si poggia. “Oltre alla base implementativa c’è una base di visione”, ha detto il vertice del Mise, “un disegno da condividere in Italia, in Europa e nel mondo”. Questa visione nasce da una valutazione di carattere storico e geopolitico. “Dal 2008, l’Occidente ha visto morire il sogno della globalizzazione. Si era pensato di poter trasformare i nostri sistemi in economie di sostituzione, rendendo i Paesi asiatici economie di produzione grazie a bassi tassi di cambio, perché poi diventassero economie di consumo”, ha spiegato Calenda. “E questo è stato raccontato come un processo lineare, win-win”. Gli eventi successivi al 2008 hanno però dimostrato che questa linearità non c’era. “La crisi ha spaccato la società in due: in Italia il 2015 è stato l’anno record per le esportazioni ma anche per il numero di società chiuse. E l’innovazione – ha proseguito il vertice del Mise – rischia di continuare a dividere tra chi ha successo e chi inevitabilmente non ce la fa”. Per evitare un ulteriore incremento delle disuguaglianza economica e sociale, che in materia di innovazione tecnologica prende il nome di digital divide, “la politica ha il dovere di spiegare che è una sfida e non un processo lineare; dobbiamo chiamare le cose con il loro nome”.