Il potere aereo nella missione libica

Di Stefano Cosci

I velivoli dell’Aeronautica militare italiana hanno svolto oltre il 7% delle missioni totali condotte sui cieli libici. L’equivalente di oltre 1.900 sortite, per un totale di più di 7.300 ore di volo. Come disse l’allora capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, Giuseppe Bernardis si trattò “dell’impegno più imponente dalla fine del secondo conflitto mondiale”
Le operazioni condotte nel 2011 sui cieli libici si sono sviluppate in un contesto che ha confermato il ruolo essenziale e strategico del Potere aereo, sia in funzione di deterrente sia di capacità attiva, per il conseguimento rapido ed efficace degli obiettivi posti dall’autorità politica. Il periodico dell’Am che oggi dirigo, la Rivista Aeronautica, ha seguito, fin dalle battute iniziali, la partecipazione della forza armata alle operazioni Odyssey dawn e Unified protector, “l’impegno più imponente dalla fine del secondo conflitto mondiale”, come la definì l’allora capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, Giuseppe Bernardis.
Dopo aver partecipato attivamente alla “Coalizione dei volenterosi” nell’ambito dell’operazione Odyssey dawn, con il passaggio del comando delle operazioni militari all’Alleanza atlantica, l’Aeronautica militare ha, infatti, mantenuto e rinforzato la propria partecipazione contribuendo con i propri velivoli e con la disponibilità di sette basi aeree al successo dell’operazione Nato Unified protector. Ciò ha richiesto di mettere rapidamente in campo tutte le componenti e le capacità operative necessarie per assolvere in modo preciso e flessibile alle missioni assegnate, discendenti dagli obiettivi fissati con le risoluzioni n. 1970 e n. 1973 dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, cioè stabilire una no-fly zone sui cieli libici e proteggere i civili e le aree maggiormente popolate del Paese nordafricano.
Il ruolo dell’aeronautica italiana
L’impegno della forza armata si è sviluppato praticamente lungo tre direttrici principali: la partecipazione diretta alle operazioni aeree; il supporto tecnico-logistico alle unità aeree alleate rischierate in Italia e, non meno importante, il contributo di personale Am nel campo della pianificazione operativa ai livelli operativo e tattico della catena di comando e controllo Nato.
Complessivamente i velivoli dell’Aeronautica militare, nella quasi totalità rischierati sulla base di Trapani Birgi, hanno svolto oltre il 7% delle missioni totali condotte sui cieli libici. L’equivalente di oltre 1.900 sortite, per un totale di più di 7.300 ore di volo. Scendendo più nello specifico, dal primo all’ultimo giorno dell’operazione, l’Aeronautica militare ha svolto missioni di pattugliamento e difesa aerea allo scopo di contribuire al mantenimento della no-fly zone istituita sui cieli libici e di assicurare la protezione dei velivoli “amici” da eventuali minacce aeree, garantendo in questo modo la superiorità aerea necessaria per portare a termine con successo la missione assegnata. In questa attività sono stati impiegati sia gli F-16 del 37° Stormo di Trapani sia gli Eurofighter 2000 del 4° Stormo di Grosseto e del 36° Stormo di Gioia del Colle (Bari).
Altra forma di protezione attiva messa in campo è stata la neutralizzazione delle difese aeree nemiche, una capacità che colloca l’Aeronautica tra le forze aeree maggiormente specializzate in campo internazionale, visto che solo i velivoli italiani insieme a quelli della marina Usa hanno effettuato questo genere di attività in Libia. I Tornado Ecr del 50° Stormo di Piacenza, infatti, sono in grado di rilevare le emissioni dei radar dei sistemi missilistici antiaerei avversari (anche di quelli mobili, più difficili da individuare), localizzarli ed eventualmente neutralizzarli impiegando missili aria-superficie espressamente dedicati a questo scopo. Anche quando non si giunge all’ingaggio cinetico, la presenza di assetti aerei come i Tornado Ecr costringe di fatto le forze avversarie a tenere spenti i propri radar per evitare che siano individuati e colpiti, consentendo così di creare una condizione più favorevole per il transito dei velivoli amici attraverso la zona d’operazioni.
Con lo sviluppo della campagna aerea, l’Aeronautica militare è stata chiamata a condurre missioni di attacco al suolo che inizialmente hanno visto impegnati i Tornado Ids del 6° Stormo di Ghedi (Brescia) e, in un secondo momento, anche gli Amx del 32° Stormo di Amendola (Foggia) e del 51° Stormo di Istrana (Treviso). Queste missioni sono state pianificate e condotte contro obiettivi militari predeterminati e definiti, o contro target “dinamici” nell’ambito di aree di probabile concentrazione di “obiettivi di opportunità”.
L’interazione Nato-Italia
Tutti gli obiettivi assegnati dalla Nato ai velivoli italiani erano preventivamente vagliati da un ufficiale generale inserito nella catena di comando Nato – il cosiddetto red card holder – per verificarne la rispondenza ai “caveat” dell’autorità politica italiana. Un elemento che contribuisce a confermare la complessità delle operazioni condotte in Libia, “sia per la diversità delle componenti e degli assetti impiegati, sia per la necessità di evitare qualsiasi tipo di danno collaterale per la popolazione, richiedendo la perfetta integrazione con le aeronautiche degli altri Paesi” come disse il generale Bernardis. E, a questo punto, vale sicuramente la pena ricordare che è grazie alle tecnologie a disposizione dei velivoli impiegati e alla perfetta integrazione con le forze aeree alleate, se durante le operazioni in Libia gli assetti dell’Aeronautica militare sono stati in grado di conseguire un elevatissimo grado di precisione nell’ingaggio dei target militari assegnati (prossimo al 100%), evitando qualsiasi tipo di danno collaterale per la popolazione. Un risultato importante, reso possibile da scelte lungimiranti compiute negli anni che hanno portato a equipaggiare i gruppi di Tornado Ids e Amx con munizionamento di precisione a guida laser e Gps, in alcuni casi specifico per distruggere bunker sotterranei.
Storm Shadow e attività di Isr
In Libia, tra l’altro, è stato impiegato, per la prima volta in operazioni reali, il missile da crociera Storm shadow, in dotazione ai gruppi Tornado Ids. Il preciso sistema di navigazione e puntamento dello Storm shadow è ottimizzato per eseguire, da grande distanza (quindi al di fuori della gittata delle difese avversarie) attacchi prepianificati su target statici di cui è nota la posizione prima della missione. È utilizzabile tipicamente contro obiettivi ben difesi come porti, bunker, siti missilistici, centri di comando e controllo, aeroporti e ponti che, diversamente, richiederebbero un’imponente campagna aerea per essere neutralizzati.
Alla precisione dell’ingaggio ha contribuito in modo decisivo l’attività di ricognizione e sorveglianza, attraverso la quale sono state acquisite immagini aeree, fisse e in movimento dell’area delle operazioni, ciò che viene identificato con la sigla Isr (Intelligence, surveillance and reconnaissance). Missioni condotte inizialmente dai Tornado Ids e, quindi, anche dagli Amx, nonché dagli Apr (Aeromobili a pilotaggio remoto) Predator B del 32° Stormo, controllati via satellite direttamente dalla base di Amendola. Al loro primo impiego in un’operazione reale, i Predator B hanno conferito all’attività Isr migliore persistenza, grazie alle maggiori dimensioni, alle prestazioni più elevate rispetto al Predator A plus, alla capacità di spingersi in zone non raggiungibili da altri assetti e di poter rimanere più a lungo in zona d’operazioni.
Criticità e impieghi per missioni future
Da questa pur veloce disamina emerge in modo evidente come, in un moderno scenario operativo, caratterizzato da un sistema di difesa aerea integrato e da minacce aria-aria e aria-superficie l’impiego efficace degli assetti aerei air-to-ground, non possa prescindere dalla presenza di altre tipologie di piattaforme specializzate. Siano essi velivoli da difesa aerea, assetti Sead o piattaforme Isr o per la rilevazione e il contrasto delle emissioni elettromagnetiche nell’area di operazioni (Sigint, Signal intelligence). Il che, ovviamente, accresce la dimensione e la complessità di ogni intervento. Un’equazione che potrà cambiare solo con l’avvento di velivoli da combattimento di quinta generazione che, nella stessa piattaforma stealth con impiego primario air-to-ground, vedono concentrate anche capacità Sead, Isre Sigint, nonché una significativa capacità di autodifesa aria-aria. Diventa così facile immaginare dei “pacchetti” molto più agili e compatti degli attuali e di quelli messi in campo per Odyssey dawn e Unified protector con evidenti benefici, anche dal punto di vista, non certo secondario, dei costi delle operazioni.
Come in Libia anche in futuro non si potrà, invece, fare a meno del rifornimento in volo, una capacità per la quale c’è una domanda crescente, ma di cui solo poche forze aeree dispongono. Tra queste l’Aeronautica militare che oggi, presso il 14° Stormo di Pratica di Mare (Roma), schiera il Boeing Kc-767A che, oltre che come tanker, può essere impiegato per il trasporto strategico. Ma l’entrata in servizio del velivolo, tra i più moderni oggi disponibili, avveniva il 17 maggio 2011, quindi quando Unified Protector era già in corso. Nonostante ciò il 767 ha fornito comunque un prezioso supporto alla campagna aerea in Libia andando a implementare la capacità di rifornimento in volo degli assetti nazionali, rappresentata fino a quel momento dai tanker Kc-130J della 46° Brigata aerea di Pisa e dai Tornado Ids del 6° Stormo di Ghedi in configurazione buddy-buddy per l’air-to-air refuelling di aeroplani dello stesso tipo.
Conclusioni
In Libia l’Aeronautica militare ha svolto attività mai fatte prima per numero delle missioni e per l’impiego di particolari sistemi d’arma o armamenti, che hanno risposto al di sopra delle nostre aspettative, a conferma del livello di addestramento raggiunto dagli equipaggi di volo e da tutto il personale della forza armata, ma anche della bontà di scelte lungimiranti che negli anni hanno permesso di adeguare alle esigenze operative sistemi d’arma, come lo stesso Tornado e l’Amx, concepiti già molti anni orsono. Velivoli che, grazie a interventi mirati, hanno contribuito all’eccellente ritorno, dal punto di vista operativo, ottenuto dalla missione in Libia. Ma anche velivoli per i quali serve un sostituto perché, tra le molte lessons identified emerse, Unified Protector ha evidenziato proprio la necessità, per una forza aerea, di disporre di assetti aerei allo stato dell’arte in grado di condurre in modo tecnologicamente avanzato l’attività aria-suolo.

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