L’industria della difesa è sempre stata un’industria “particolare”, diversa da tutte le altre, poiché può esistere e crescere soprattutto in relazione alla quantità di investimenti che lo Stato decide di realizzare: crea prodotti che hanno come principale cliente le forze armate nazionali, che per essere venduti devono essere autorizzati dal proprio governo e che possono essere venduti soltanto ad altri Stati. Il primo cliente di questo settore, del nostro settore, è quindi lo Stato italiano e tutto ciò che è stato fatto sinora è stato possibile, di conseguenza, quasi esclusivamente grazie all’investimento messo in atto dallo Stato italiano. Negli ultimi dieci anni però è accaduto che l’investimento ha iniziato a contrarsi, a causa di una spesa pubblica diventata difficile da sostenere nel suo rapporto con il Pil: i settori dello Stato, nessuno escluso, hanno subìto dei tagli e questi, anche se negli ultimi anni in misura inferiore agli altri comparti, hanno colpito anche la difesa. Quando il principale cliente riduce la sua spesa si riduce di conseguenza il fatturato dell’industria di settore e aumentano le difficoltà all’interno di un mercato dove la concorrenza è fortissima. Questo percorso di contenimento della spesa pubblica italiana nel settore Difesa si sta intersecando con un altro, ovvero con la volontà, ribadita con una forza e una velocità del tutto inaspettate, dell’Europa, di procedere verso l’obiettivo di una difesa comune. Il piano d’azione per la difesa europea è stato presentato dalla Commissione europea il 30 novembre 2016 e approvato dal Consiglio europeo il 15 dicembre, con l’invito a Istituire il Fondo europeo della difesa e a perseguire il piano di attuazione di una strategia globale sulla difesa. Una marcia a tappe forzate che partirà dalla ricerca con 90 milioni per il periodo 2017-2020, che diventeranno a regime 500 milioni l’anno. È una cifra enorme per noi italiani, e occorrerà prepararsi per evitare di fare la stessa fine che abbiamo fatto su molti dei fondi europei, che in alcune aree del sud vengono, per buona parte, rimandati indietro. In questo caso, i fondi verrebbero presi da Francia e Germania, aumentando un gap che già oggi pare insormontabile. Dovranno dunque prepararsi non solo le grandi industrie, che già lo stanno facendo, ma anche il sistema delle piccole e medie imprese. Il tema difesa europea, comunque, alla fine avrà necessariamente un impatto fortissimo sul nostro sistema industriale. La Commissione europea, sul tema, è chiarissima: le aziende in Europa sono troppe, vanno ridotte e razionalizzate, lo dice esplicitamente. Induce quindi i vari sistemi industriali degli Stati a prepararsi a un cambiamento perché non tutti gli attori che adesso sono presenti in questo settore potranno rimanere. Le azioni che si preannunciano saranno molto rilevanti, perché partono dal presupposto che la contrazione che c’è stata nei bilanci dei vari Stati sul settore difesa vada invertita tendendo al 2% dall’attuale 1,4%. Per rendere più semplice l’impegno si ipotizza l’esclusione delle spese della Difesa dal calcolo del deficit, la possibilità di intervento della Bei, il cofinanziamento Ue su programmi multinazionali. In sintesi, si sta preparando una vera e propria rivoluzione del settore, visto che il ragionamento politico di base è: gli Usa si muovono in proprio e noi non possiamo pensare di avere un gap tecnologico troppo levato in un settore strategico come questo, se vogliamo avere un peso nel mondo. Da parte nostra, italiana, non capire cosa ciò potrà comportare e non prepararsi in tempo significa starne fuori dal futuro dell’industria della difesa. Il tema per l’Italia è come arrivare pronti per partecipare alla futura formazione dell’industria europea della difesa, per essere competitivi e non scomparire. Possiamo farlo se c’è un accordo, un progetto di Paese. Parlo consapevolmente di Paese e non di governo, perché queste sono decisioni strategiche che non dovrebbero essere messe in discussione da cambi di esecutivo. In questa fase, è fondamentale la volontà del Paese e la quantità di fondi che si deciderà di investire. La Francia, ad esempio, investe oltre 4 miliardi l’anno solo in ricerca e sviluppo. Diventa difficile pensare di competere nei prossimi anni se in qualche modo non si equilibra anche la spesa pubblica italiana in questo settore. Dobbiamo prendere atto che questo comparto non ha altro punto di partenza se non quello della spesa pubblica; per necessità non perché siamo privilegiati o lagnosi. Il preservare le tecnologie e la competenza, dipenderà da scelte strategiche come il miglioramento della produttività, la vision degli amministratori, la qualità delle persone impegnado una vera e propria rivoluzione del settore, visto che il ragionamento politico di base è: gli Usa si muovono in proprio e noi non possiamo pensare di avere un gap tecnologico troppo levato in un settore strategico come questo, se vogliamo avere un peso nel mondo. Da parte nostra, italiana, non capire cosa ciò potrà comportare e non prepararsi in tempo significa starne fuori dal futuro dell’industria della difesa. Il tema per l’Italia è come arrivare pronti per partecipare alla futura formazione dell’industria europea della difesa, per essere competitivi e non scomparire. Possiamo farlo se c’è un accordo, un progetto di Paese. Parlo consapevolmente di Paese e non di governo, perché queste sono decisioni strategiche che non dovrebbero essere messe in discussione da cambi di esecutivo. In questa fase, è fondamentale la volontà del Paese e la quantità di fondi che si deciderà di investire. La Francia, ad esempio, investe oltre 4 miliardi l’anno solo in ricerca e sviluppo. Diventa difficile pensare di competere nei prossimi anni se in qualche modo non si equilibra anche la spesa pubblica italiana in questo settore. Dobbiamo prendere atto che questo comparto non ha altro punto di partenza se non quello della spesa pubblica; per necessità non perché siamo privilegiati o lagnosi. Il preservare le tecnologie e la competenza, dipenderà da scelte strategiche come il miglioramento della produttività, la vision degli amministratori, la qualità delle persone impegnate, ma soprattutto dalla strategia che il Paese adotterà nei prossimi anni. Probabilmente non riusciremo a sopravvivere
in tutti i settori che oggi occupiamo. Le nostre aziende si stanno muovendo, cito solo due esempi: Leonardo con l’acquisizione in Polonia e le acquisizioni di Fincantieri in Francia. Certo, a latere di questa strategia di alto livello va continuata la quotidiana battaglia per le piccole e medie industrie affinché la legge 185 venga sfrondata ancora di burocrazia e di costi, che sono accettabili e marginali solo per quelle grandi, perché i pagamenti siano consoni a quanto previsto dalla legge e perché l’industria italiana venga difesa come fanno francesi e inglesi. Cosi come dovremo occuparci, come facciamo, di attrezzarci con altri strumenti come il GtoG per avere almeno le stesse condizioni di partenza dei nostri concorrenti internazionali. Se ci fosse la volontà politica potremmo addirittura risolvere il problema entro la fine di questa legislatura, visto che ci troviamo in questa situazione perché all’articolo 537 ter. era stato tolto il termine “contrattuale”: basterebbe quindi aggiungere un aggettivo e lo Stato potrebbe fare quello che altri Stati fanno: cioè sottoscrivere accordi con altri Paesi. In Italia abbiamo due grandi aziende nel settore della difesa, ce ne vorrebbero tuttavia di più e sta a noi cercare di farne crescere altre. Probabilmente non possiamo più permetterci di avere aziende piccole, dovremo quindi trovare il modo di mettere insieme energie, fatturati, teste e aziende fin quando siamo in tempo, prima che la marea spazzi via tutto. Mi sembra che oggi ci siano le condizioni per farlo e che soprattutto ci sia la disponibilità di tutti gli attori. Non sprechiamo l’opportunità. te, ma soprattutto dalla strategia che il Paese adotterà nei prossimi anni. Probabilmente non riusciremo a sopravvivere in tutti i settori che oggi occupiamo. Le nostre aziende si stanno muovendo, cito solo due esempi: Leonardo con l’acquisizione in Polonia e le acquisizioni di Fincantieri in Francia. Certo, a latere di questa strategia di alto livello va continuata la quotidiana battaglia per le piccole e medie industrie affinché la legge 185 venga sfrondata ancora di burocrazia e di costi, che sono accettabili e marginali solo per quelle grandi, perché i pagamenti siano consoni a quanto previsto dalla legge e perché l’industria italiana venga difesa come fanno francesi e inglesi. Cosi come dovremo occuparci, come facciamo, di attrezzarci con altri strumenti come il GtoG per avere almeno le stesse condizioni di partenza dei nostri concorrenti internazionali. Se ci fosse la volontà politica potremmo addirittura risolvere il problema entro la fine di questa legislatura, visto che ci troviamo in questa situazione perché all’articolo 537 ter. era stato tolto il termine “contrattuale”: basterebbe quindi aggiungere un aggettivo e lo Stato potrebbe fare quello che altri Stati fanno: cioè sottoscrivere accordi con altri Paesi. In Italia abbiamo due grandi aziende nel settore della difesa, ce ne vorrebbero tuttavia di più e sta a noi cercare di farne crescere altre. Probabilmente non possiamo più permetterci di avere aziende piccole, dovremo quindi trovare il modo di mettere insieme energie, fatturati, teste e aziende fin quando siamo in tempo, prima che la marea spazzi via tutto. Mi sembra che oggi ci siano le condizioni per farlo e che soprattutto ci sia la disponibilità di tutti gli attori. Non sprechiamo l’opportunità.