L’Italia 50 anni fa iniziava il suo viaggio nello Spazio

Di Mario Arpino

Il 15 dicembre del 1964 il nostro Paese lanciava dalla base Nasa di Wallops il suo primo satellite, San Marco 1 

Quest’anno il calendario delle ricorrenze riguardanti l’Italia segna la data di ingresso del nostro Paese nello Spazio. Le attività erano già cominciate nel 1959 per iniziativa dell’ingegnere e generale dell’Aeronautica, il professor Luigi Broglio, con la creazione del Centro ricerche aerospaziali dell’Università di Roma. Due sono gli eventi del 1964 all’origine dei programmi spaziali italiani: l’ancoraggio della piattaforma Santa Rita al largo delle coste keniote e il lancio del primo satellite San Marco dal poligono americano di Wallops Island, il 15 dicembre 1964. È motivo di orgoglio anche se gran parte degli italiani non lo sa, perché nessuno, almeno in termini di comunicazione di massa, glielo ha mai detto. Si è mai vista una sola prima serata dedicata, invece che al “pollaio” con i soliti insulti, a ciò che abbiamo fatto e sappiamo fare nello Spazio? Non farebbe audience, ci è stato detto tempo fa da fonte autorevole. Certo, non abbiamo lanciato noi lo Sputnik, non abbiamo fatto girare il primo cosmonauta attorno alla Terra, né siamo stati noi a sbarcare per primi sulla Luna. Ma nel settore abbiamo fino a oggi riconosciute esperienze, ottime tecnologie d’avanguardia, ingegneri, scienziati e astronauti di primo piano e siamo stati i padri e i realizzatori di un gran numero di iniziative di successo.

Qui stiamo parlando di Spazio, non di moda, di arredamento o di ottime calzature. Se in patria pochi se ne accorgono, molti riconoscimenti ci vengono dall’estero: come quello della Russia al colonnello Vittori (unico astronauta non russo ad ottenne la qualifica di comandante di Soyuz e unico europeo ad aver partecipato a tre distinte missioni spaziali sulla Iss), della Nasa per i nostri scienziati e per il successo dei nostri moduli per la Stazione spaziale internazionale, per le componenti italiane presenti nella storica missione Rosetta e infine per la presenza del capitano-pilota dell’Aeronautica militare, Samantha Cristoforetti a bordo della Iss, prima donna per il nostro Paese. Si tratta di persone che sono state e sono ancora in grado di vedere molto oltre il presente, pensare al futuro con immaginazione scientifica, permettere all’Italia di crescere fino a una posizione che forse non avremmo mai sperato di raggiungere. La considerazione a livello internazionale quindi c’è: in fondo, dopo essere stati la terza nazione al mondo a mettere in orbita un satellite, per anni abbiamo continuato con realizzazioni tangibili a contribuire al progresso nello Spazio. Ma ora, anche qui ci stiamo arenando. Dopo programmi così importanti condotti con entusiasmo e successo (potremmo ricordarne a decine), i tavoli da disegno sono vuoti, i computer riposano con il copri schermo e le fabbriche perdono i tecnici che vanno all’estero, privandoci di un’expertise non facile da ricostruire. Eppure, in termini di conferimento di risorse finanziarie siamo pur sempre il terzo contributore dell’Agenzia spaziale europea. C’è la crisi, è vero, ma i soldi li stiamo dando.Qual è il ritorno? Per ora, si vede poco. Evidentemente, c’è uno scollamento tra le risorse intellettuali del Paese e quelle contrattuali e realizzative. Così, una politica insoddisfacente sta ampliando il distacco tra capacità scientifica e mondo industriale, con un vuoto difficile da colmare. Non dimentichiamo che la partita spaziale oggi non si gioca più tra America, Russia e Europa, ma si inseriscono in termini indiscutibili le capacità dei Paesi emergenti. Lo sappiamo, sono le conseguenze della crisi economica. Ma dove abbiamo sbagliato? Un esame di coscienza è urgente: sono queste le problematiche d’ordine scientifico, politico e industriale che anche l’Italia dovrà decidersi ad affrontare. Se non lo farà, gli sforzi e i successi del passato andranno ben presto perduti.