Cosa può fare l’Italia per la difesa comune

Di Stefano Vespa

L’Italia deve e può avere un ruolo più incisivo nelle strategie politiche e di difesa europee, deve difendere e valorizzare i valori della civiltà occidentale in un’epoca di cambiamenti e di tensioni internazionali anche se, sul piano più strettamente italiano, la mancata approvazione del Libro bianco della Difesa in questa legislatura è stata un’occasione persa. C’è stato questo e molto altro nel convegno organizzato dalla Delegazione italiana presso l’assemblea parlamentare della Nato in collaborazione con lo Iai, Istituto affari internazionali, sul futuro che attende la cooperazione tra Unione europea e Alleanza atlantica, convegno da cui sono emersi gli indubbi passi avanti compiuti negli ultimi mesi e le tante criticità da affrontare.

Secondo Andrea Manciulli (Pd) (nella foto), presidente della Delegazione presso l’assemblea Nato, l’Italia deve ambire a un ruolo centrale perché “deve far vivere i valori della civiltà occidentale” ed essere protagonista di questa sfida. Il rapporto tra difesa europea e Nato dunque non può essere solo un accordo basato sull’utilità perché rientra negli equilibri politici e diplomatici più generali e quindi, ha aggiunto Manciulli, “dobbiamo essere all’altezza della sfida”. Partendo dalla necessità di difendere l’interesse nazionale in un’epoca di “fortissimo bilateralismo”, il segretario generale della Farnesina, ambasciatore Elisabetta Belloni, ha sottolineato che oggi la difesa è diventata “tema di convergenza” dopo tante tensioni del passato. Ci sono da tenere presenti, però, alcuni fattori: le scelte dell’amministrazione Trump; le conseguenze della Brexit; la reazione dei cittadini in un’epoca in cui le crisi toccano l’Ucraina e la Libia, la Siria e il terrorismo internazionale; la Pesco, la Cooperazione strutturata permanente nel campo della Difesa che dovrebbe avere il via libera definitivo dal vertice del 14 e 15 dicembre.

Secondo l’ambasciatore “la difesa europea è una sfida in termini di capacità operativa, dunque non solo in termini di collaborazione con la Nato”. Entrambe le organizzazioni devono sapere rinnovarsi, anche se il lavoro diplomatico italiano non sarà facile: proprio su nostra insistenza l’Alleanza ha “guardato” finalmente anche al fronte Sud e non solo a quello Est, ma “le resistenze persistono”. “Ue e Nato, comunque, sono partner naturali anche perché subiscono le stesse minacce” ed entrambe devono riflettere sia sulla Russia che sulla Turchia.

I presidenti della commissione Esteri della Camera e della commissione Difesa del Senato sono stati pungenti. Il primo, Fabrizio Cicchitto (Ap), ha affermato che “il retroterra politico di Ue e Nato sia sconvolgente”. In sintesi, il quadro geopolitico con il quale occorre confrontarsi comprende la Cina, con la sua linea di imperialismo economico anche se il suo leader è l’unico “che parla di globalizzazione in modo persuasivo”; la Russia di Vladimir Putin, “grande giocatore di scacchi riuscito a penetrare in Medio Oriente grazie a George W. Bush e a Barack Obama”; l’Iran e la Turchia. Anche la recente decisione di Donald Trump di spostare l’ambasciata statunitense a Gerusalemme secondo Cicchitto “potrebbe aumentare il ruolo politico dell’Europa”. Nicola Latorre (Pd) non ha avuto peli sulla lingua: non lo convince una Pesco con 23 stati aderenti (finora) perché le decisioni devono essere prese all’unanimità mentre sul fronte della spesa militare il rischio da evitare è quella della “deresponsabilizzazione” quando invece è necessario “razionalizzare e sviluppare la spesa militare nei singoli Paesi”. E’ qui che Latorre ha definito “un’occasione persa” la mancata approvazione del Libro bianco “sperando che il prossimo Parlamento riparta da lì”. Sulla cooperazione Ue-Nato, invece, Latorre ritiene che “la criticità fondamentale sia una comune strategia politica”. Occorre cioè “una comune visione delle minacce e delle risposte” e adeguate risposte politico-diplomatiche. Il ruolo della Turchia, membro Nato, che non perde occasione per non sostenere le decisioni europee è a questo proposito un tema molto delicato.

Un “approccio globale e integrato” è ormai indispensabile di fronte alle minacce alla sicurezza nazionale. Il generale Claudio Graziano, capo di Stato maggiore della difesa e dal prossimo novembre presidente del Comitato militare dell’Ue, ha ricordato che sia l’Unione europea che la Nato esprimono “la massima convergenza sulla necessità di garantire un budget adeguato in termini quantitativi e qualitativi” e “la sinergia nello sviluppo delle capacità militari è un’altra area di cooperazione” tra le due organizzazioni che si concretizza nella Pesco. Dal punto di vista italiano, l’istituzione a Napoli dell’Hub Nato per il Sud è “un passo avanti”. Sulla necessità di fare sinergia non ci sono dubbi e alcuni numeri forniti da Luca Franchetti Pardo, ambasciatore presso il Comitato politico e di sicurezza (Cops) dell’Ue, parlano da soli: gli Stati Uniti hanno un solo tipo di carro armato, l’Europa ne ha 17; 4 tipi di fregate, l’Europa 29; 6 tipi di aerei, l’Europa 20. La sua ovvia conclusione è stata che bisogna “non spendere di più, ma meglio”.

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