Italia e Israele, tecniche di cyber-difesa a confronto

Di Francesco Pesce

“La vulnerabilità cibernetica è il volto oscuro della tecnologia informatica, proprio come quella faccia della Luna che non è mai rischiarata dal Sole”. Con questa metafora il professor Isaac Ben-Israel ha aperto ieri la conferenza dal titolo “Le sfide della sicurezza cibernetica da una prospettiva italiana e israeliana”, evento organizzato presso la Camera dei Deputati dalla Delegazione italiana all’Assemblea parlamentare della Nato, in collaborazione con le riviste Formiche e Airpress. Presenti ospiti italiani e israeliani, moderati dalla giornalista Barbara Carfagna e dal professor Marco Mayer dell’Università Link Campus.
In un momento in cui i computer sono ormai ovunque e noi dipendiamo da essi, un cyber-attacco può non solo trafugare dati, ma anche causare distruzioni materiali. Si pensi alle infrastrutture fondamentali, come quelle ferroviarie, o quelle che assicurano la fornitura idrica; ma anche ai 18 miliardi di oggetti di uso domestico costantemente connessi a internet. Il mondo è cresciuto in velocità, ma anche in vulnerabilità: ne siamo consci?
“In Israele la prima agenzia governativa per la protezione delle infrastrutture critiche risale al 2002, mentre è del 2011 la prima dottrina cibernetica nazionale” ha raccontato Ben-Israel, direttore dell’Interdisciplinary cyber research center e presidente dell’Agenzia spaziale israeliana. “Tuttavia, è ancora irrisolta la tensione tra privacy e security, tra sicurezza e riservatezza. Un malware deve essere neutralizzato prima che penetri nel sistema, non dopo, e questo richiede un monitoraggio costante da parte delle autorità governative, difficilmente compatibile con la democrazia. Occorre trovare un equilibrio, ma manchiamo totalmente di esperienza storica. Al momento, Israele ha istituito un’agenzia per la cyber-security interamente civile, indipendente rispetto ai servizi di intelligence. Le autorità pubbliche devono conquistare la fiducia dei cittadini e delle aziende”.
“Anche il governo italiano intende incrementare la sua capacità di difesa attraverso una cooperazione proficua con le aziende e le università” ha assicurato Marco Minniti, sottosegretario di Stato e Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica. “In alcuni Paesi vi è l’obbligo, in capo alle aziende, di denunciare all’autorità pubblica i cyber-attacchi subiti: questo è nell’interesse del governo, che quantifica i danni e neutralizza i malware, ma è anche un vantaggio per le aziende stesse, che godranno di una protezione più efficace. Occorre creare le condizioni di convenienza per una denuncia da parte delle aziende – ha sostenuto Minniti – in quanto oggi un attacco informatico potrebbe avere un impatto sul sistema-Paese pari a una campagna militare”.
A questa conclusione è giunto anche Mauro Moretti, ad e direttore generale di Finmeccanica, notando come l’approccio “software” alla difesa che gli sviluppi tecnologici ci impongono abbia spazzato via l’esperienza di interi millenni in questo settore. “Viene superata anche la nozione stessa di Stato da difendere, in analogia a quanto accade in altri campi, per esempio nel business. Se in campo economico sarebbe opportuno sviluppare un diritto commerciale transnazionale, nel settore della difesa cibernetica Finmeccanica è già attiva con due centri, a Chieti e nel Regno Unito” ha ricordato Moretti. “Tuttavia vogliamo incrementare la nostra presenza, anche attraverso uno scambio più intenso con Israele, uno dei leader del settore cyber assieme agli Stati Uniti”.
Lior Tabansky, ricercatore presso il Ne’eman Workshop for Science, technology & security dell’Università di Tel Aviv, ha insistito sull’importanza di una convergenza teorica delle scienze informatiche e di quelle sociali per la creazione di un cyber environment sicuro. “Israele ha un programma massiccio per la cyber-sicurezza: nel nostro centro oltre il 30% dei ricercatori hanno un background giuridico, economico o politologico, e ciascuno apporta il suo contributo” ha raccontato Tabansky, il quale ha anche auspicato una collaborazione più stretta tra i due Paesi.
Un altro esponente del mondo accademico, il professor Michele Colajanni, direttore del Centro di ricerca interdipartimentale sulla sicurezza dell’Università di Modena e Reggio Emilia, ha apprezzato come Israele abbia fatto di un problema, ovvero la necessità di garantire la sua sicurezza, un’opportunità di sviluppo, e ha spinto l’Italia allo stesso dinamismo. “Il gap tra accademia e imprese dev’essere colmato – ha esortato Colajanni – e il nostro cyberlab di Modena è un tentativo proprio in questo senso, oltre che un ponte per avvicinare due nazioni amiche”.

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