La nuova space economy

Di Roberto Battiston

Cosa ci accadrà domani o la prossima settimana? Per saperlo consultiamo la nostra agenda su uno dei tanti gadget elettronici che ci aiutano a gestire la nostra vita professionale e privata. Organizzazione, automatismi, tecnologie: questi e altri fattori determinano il perimetro del nostro agire nell’ambiente in cui ci muoviamo, lavoriamo e passiamo il nostro tempo. E se capita un imprevisto che va al di là della nostra rassicurante (dipende dai casi) pianificazione? Ci sono tre possibilità: rimaniamo in balia del caso perché ci muoviamo all’interno di un’organizzazione rigida; ci facciamo trovare pronti perché siamo in un’organizzazione flessibile; lo abbiamo previsto e sfruttiamo al massimo il cambiamento degli eventi.

Questa breve premessa ci aiuta a capire come entrare davvero nella New space economy di cui parliamo ormai da tempo, ad esempio con la capacità di immaginare altri mercati o predirne le evoluzioni prima degli altri. In poche parole, bisogna fare uno sforzo per ampliare o addirittura ribaltare l’idea del mondo in cui ci muoviamo, un po’ come è accaduto nella fisica con Albert Einstein. Il tema della New space economy ha bussato con forza alla porta dell’Agenzia spaziale europea, un mondo ricco di scienza e tecnologia di primissimo livello che ha avuto grandi successi negli ultimi anni – basti pensare a Rosetta – ma che agisce con i tempi lunghi tipici delle organizzazioni multilaterali. Comprendere e gestire il cambiamento è una delle sfide più complesse, e la capacità di cogliere le innovazioni dei modelli di business, se non addirittura di concorrere a determinarle, diventa dunque irrinunciabile per delineare la strada che porti la Space economy italiana ed europea a crescere e ad agganciare il modello che arriva dai soliti Stati Uniti. Se la vecchia Space economy è stata il prodotto di grandi investimenti pubblici, pochi e grandi integratori, competizione quasi nulla e crescita limitata (300 miliardi di dollari di vecchia Space economy globale valgono quanto le dieci utilities italiane), la nuova Space economy è invece un mix tra budget istituzionali e commerciali, diversi contractor in competizione e una crescita esponenziale. È proprio quello che è accaduto dall’altra parte dell’Atlantico, dove decine di miliardi di dollari di investimenti pubblici sono state il volano per far crescere all’ombra della Nasa i nuovi imprenditori dello spazio. Si tratta di gente con le spalle molto larghe, che ha già mietuto successi in altri settori come Jeff Bezos (Amazon), Elon Musk (Paypal) o Richard Branson (Virgin). Ma al di là di questi tycoon, tipicamente figli del sistema americano, si è sviluppato un sistema di space venture capitalist che dal 2000 al 2015 ha raccolto oltre 13 miliardi di dollari di investimenti, di cui due terzi solo negli ultimi cinque anni.

All’inizio del 2016, l’analisi “Start up space” di Tauri Group riferiva che il 66% dei 250 venture capitalist dello spazio opera negli Stati Uniti, e la metà – guarda caso – si trova in California. Recentemente SpaceX è entrata nel gruppo delle Unicorn Companies, le start up che sono arrivate o hanno superato il miliardo di dollari di valore. Oggi questi imprenditori dicono apertamente: “You can now make money with space investment”. La creazione di space venture capitalist non è certo compito dell’Asi, ma il sistema istituzionale dello spazio, se vuole innovare, ha il dovere di creare le condizioni per investire nel nostro Paese. Non è semplice, come mi confermava recentemente il capo di un fondo d’investimento, poiché dobbiamo allineare tre elementi: tecnologie brevettate e appetibili, imprenditori che vogliono rischiare e fondi di investimento che portino i capitali necessari. L’esempio non si trova solo negli Stati Uniti, ma anche in Israele. In entrambi i Paesi molti brevetti e aziende di tecnologia sono lo spin-off degli investimenti del settore militare, sui quali sono poi entrati i fondi privati d’investimento. Uno schema replicabile tenendo conto che anche in Italia abbiamo diverse eccellenze sia nell’hardware sia nei sistemi – basti pensare all’osservazione della Terra SAR (Radar ad apertura sintetica) – e certamente abbiamo brevetti che possono essere la base di partenza di nuovi business. L’Asi può spingere questo processo favorendo investimenti di lunga durata nelle tecnologie critiche per l’esplorazione e lo sfruttamento dello spazio, con l’obiettivo di realizzare infrastrutture spaziali e favorirne le capacità di sfruttamento ottimali. L’Italia, con l’Europa, sono sistemi in cui l’investimento pubblico ha creato un solido punto di partenza per l’innovazione. Ma non dobbiamo dimenticare un altro ingrediente fondamentale, la costanza.

L’innovazione non è solo visione, è un processo che richiede persone capaci di realizzarla con abilità manageriale, dalla costruzione del caso di business al posizionamento sul mercato, come sanno bene le tantissime start up che vogliono portare sul mercato prodotti e servizi innovativi. La prospettiva è quella della “disruptive innovation”, prodotta da aziende che riescono a intravedere quelli che saranno i futuri bisogni della società. Chi si accontenta di soddisfare la richiesta immediata del mercato è destinato prima o poi a segnare il passo. È già accaduto tante volte nella storia, e accadrà ancora. Con l’aggravante che questi cambiamenti saranno sempre più veloci e spietati. Il ventennio della prima rivoluzione di Internet (19902010) che ha coinvolto principalmente il mondo dei servizi e quello della distribuzione, ne è stato un esempio lampante; le certezze finiscono quando le tecnologie esponenziali creano e distruggono grandi multinazionali nel giro di pochi mesi (ricordiamoci della vicenda Nokia che ha messo in ginocchio un piccolo Paese solido e ben governato). La seconda rivoluzione di Internet ribalterà le filiere produttive industriali e promette nuovi, diversi equilibri: secondo McKinsey, vale 5 triliardi di dollari. Una cifra notevole in cui il piccolo ma stimolante mondo spaziale deve trovare il modo di essere uno dei driver di sviluppo. Questo accadrà solo a una condizione: che ci si ponga di fronte alla sfida dell’innovazione con l’energia e l’animo disposti a lasciare porti sicuri alla volta di una difficile traversata.

Roberto Battiston è presidente dell’Agenzia spaziale italiana (Asi). Questo articolo è stato pubblicato sul numero di luglio-agosto di Airpress e qui riproposto.