La Russia e l’Occidente nella crisi ucraina, dibattito alla Sioi

Di Luigi Romano

L’Ucraina, terra di confine, è luogo di incontro-scontro tra la Russia e l’Occidente. Il dominio di Kiev è per Mosca il near abroad, l’estero vicino, la casa di un popolo culturalmente fratello e tradizionalmente amico, ma anche il corridoio attraverso cui regolarmente transitano gli aggressori. Per gli Stati Uniti, e in minor misura l’Europa, è invece un ente sovrano giovane, la cui crescita è bene si indirizzi a valori occidentali. Presenza costante in queste dinamiche contraddittorie è l’Alleanza atlantica.

Proprio per fare il punto della situazione a oltre un anno dall’annessione della penisola di Crimea, l’Ambasciata russa a Roma ha organizzato oggi, in collaborazione con la rivista Limes, un dibattito presso la Sioi con ospiti italiani e russi, presieduto dall’ambasciatore Sergey Razov.

Ad aprire la discussione è stato Konstantin Zatulin, direttore dell’ong Istituto per la Comunità degli Stati indipendenti e già deputato alla Duma, ricordando l’importanza per la sicurezza russa di relazioni positive con l’Ucraina. “Proprio in nome della sicurezza, la Russia deve proteggere i russi anche all’estero”, sostiene l’ex-deputato. Il riferimento è a quei dieci milioni di russi etnici che al collasso dell’Urss si sono ritrovati sotto la sovranità di Kiev. Zatulin traccia una distinzione concettuale chiara: “L’unità si riferisce alla personalità giuridica dello Stato, ma l’unitarietà, che attiene all’organizzazione amministrativa, è fattibile solo se vi è omogeneità etnica, il che è impossibile con milioni di russi residenti in Ucraina”. Dunque l’obiettivo del Cremlino, nell’opinione di Zatulin, è ottenere una riforma in senso federale dello Stato ucraino, cosa che il governo attualmente insediato a Kiev non concede, preferendo un’Ucraina filo-occidentale a una neutrale. “L’élite ucraina ha deciso da sola di virare verso l’Occidente, senza consultare il suo popolo. Ma Ucraina e Russia sono così legate che non si possono guardare attraverso un velo, sia esso la Nato o l’Ue” conclude.

D’accordo con lui l’altro russo, Vitaly Tretyakov, giornalista e preside della Scuola per la televisione dell’Università Lomonosov di Mosca. “La frontiera del 1991 è stata disegnata da Lenin, Stalin e Kruscev, non ha origini storiche” dichiara. “In Ucraina l’Occidente ha agito senza programma, senza prospettive, e se continua in questa azione destabilizzante sicuramente la frontiera cambierà a breve”.

Tra gli italiani, una voce autorevole concorda con gli ospiti russi sull’insostenibilità geopolitica dello Stato ucraino, che trae la sua configurazione attuale dall’ordinamento sovietico. Per Lucio Caracciolo, direttore della rivista Limes, la situazione ucraina è parte di un più ampio “arco di disintegrazione” sorto a est della Nato dopo il crollo del Muro, ovvero una serie di territori destatualizzati e precari che va dal Baltico al Mar Nero. Tensioni non adeguatamente affrontate, nonostante la stabilità sia interesse tanto della Russia quanto dell’Occidente. E proprio riferendosi al ruolo degli Stati Uniti, Caracciolo spiega che il governo Usa “non è all’origine della crisi ucraina, l’ha solo sfruttata per inviare a Putin due segnali precisi: da un lato, che la Russia non è una potenza globale, né di rango paritario; dall’altro, che Mosca dovrebbe abbandonare ogni tentativo di costruire un rapporto privilegiato con alcuni membri della Nato.”

La difesa del prestigio nazionale è una variabile esplicativa delle tensioni ucraine anche per l’ambasciatore Giancarlo Aragona, presidente dell’Ispi, secondo cui le incomprensioni reciproche risalirebbero addirittura al vertice di Pratica di Mare del 2002, dove “il Cremlino pensava al Consiglio Nato-Russia come a un primo passo per partecipare ai meccanismi di controllo dell’Alleanza e l’Occidente, invece, ha pensato che Mosca fosse pronta ad accettare un ruolo secondario, di cadetto”.

Ha ancor meno dubbi Virgilio Ilari, presidente della Società italiana di storia militare, che vede la rivalità tra Usa e Russia come nocciolo della crisi, tanto da poter parlare di un conflitto “de maestate”. Con un paragone storico rivive oggi, nelle esercitazioni della Nato e nelle sanzioni dell’Ue, l’idea dell’“Intermarum” del maresciallo Pilsudsky, che nei primi anni Venti propose una federazione tra Lituania, Polonia, Bielorussia e Ucraina che unisse i tre mari (Baltico-Nero-Caspio) per arginare la Russia.

In chiusura del dibattito sono intervenuti due diplomatici ucraini, Yevgheniy Yenin e Dimitri Volovnikiv, che sedevano tra il pubblico e si solo alzati per contestare con decisione le tesi degli ospiti russi. La fonte del problema, nella loro opinione, è la Russia stessa, una “autocrazia militarizzata” che rappresenta una minaccia per tutta l’Europa. Se Zatulin definiva le violenze in Ucraina un conflitto interno tra centralisti e federalisti, i rappresentanti di Kiev vi individuano invece un’autentica aggressione da parte di Mosca, citando a testimonianza di quanto dicono le armi pesanti che i ribelli possiedono e la presenza, tra le autorità di governo di Donetsk e Lugansk, di elementi legati all’Fsb (ex Kgb, i servizi segreti russi).