La Sicilia di nuovo al centro delle relazioni Italia-Usa

Di Stefano Pioppi

Tra la tanto discussa installazione del Muos a Niscemi e la recente autorizzazione per i voli dei droni americani dalla base di Sigonella, la Sicilia torna al centro delle relazioni tra il nostro Paese e gli Stati Uniti.
Sono ormai sessant’anni che l’isola si colloca nel cuore della collaborazione politica e militare tra i due Paesi. Nel 1957, pochi mesi dopo la firma dei trattati di Roma e della nascita della Comunità economica europea, l’Italia si ergeva a membro di rilevanza strategica dell’Alleanza atlantica, concludendo un accordo provvisorio con gli Stati Uniti per l’utilizzo della base di Sigonella. In realtà, la presenza militare statunitense in Sicilia era iniziata già nel 1949, in seguito alla firma del Patto atlantico, ma è nella primavera del 1959 che la United States Naval air facility (Naf) Sigonella divenne operativa.
La base militare resta celebre soprattutto per la crisi del 1985. Il governo italiano, tradizionalmente ossequioso nei confronti degli Stati Uniti, presieduto da Bettino Craxi, diede uno dei più forti segnali di indipendenza da Washington. La crisi di Sigonella mostrò che l’Italia sapeva e poteva difendere la sua autonomia, pur nel quadro di una ferma collaborazione con gli Stati Uniti. La crisi politica che si aprì tra le autorità italiane e l’amministrazione Reagan non cancellò decenni di cooperazione tra i due Paesi né la centralità di Sigonella e della Sicilia per il ruolo italiano nell’Alleanza atlantica.
Se durante il confronto bipolare, l’Italia, essendo al confine tra i due blocchi, godette di una “rendita di posizione” geopolitica in grado di permetterle di scalare la gerarchia dell’Alleanza atlantica, oggi la rendita posizionale si è tramutata in una maggiore vulnerabilità. Il nostro Paese rappresenta la prima linea, il confine sud della Nato, quello situato proprio di fronte alle più critiche sfide provenienti dalla zona Mena (Middle-East North-Africa). Soprattutto per la questione libica, il nostro Paese è chiamato a un ruolo di prim’ordine e di responsabilità nel richiamare una proficua e consapevole cooperazione internazionale.
Per queste ragioni, la Sicilia resta al centro della collaborazione tra Italia e Stati Uniti. Ed è in tale contesto che si inserisce la contestata installazione di una delle basi terresti del Muos (Mobile user objective system) a Niscemi. La questione delle tre grandi parabole del sistema di telecomunicazioni satellitare costruite in Sicilia resta ancora aperta. Ma se il Muos rimane un dossier complicato, Sigonella si conferma invece fonte di rafforzamento del dialogo tra il nostro Paese e gli Stati Uniti, dialogo necessario di fronte all’urgente questione libica.
Il governo italiano ha dato così il via libera alle missioni armate dei velivoli a pilotaggio remoto dalla Nas dell’US Navy di Sigonella. Sulla base sono attualmente stanziati tre aeromobili a pilotaggio remoto (apr) Global Hawk, in grado di operare ad altissima quota, e sei Reaper, capaci di caricare bombe a guida laser e satellitare, e missili aria-superficie. Oltre ai droni, la US Navy dispone a Sigonella di convertiplani Osprey e aerei da trasporto C-130.
I ministri di difesa ed esteri hanno voluto sottolineare che ancora “non c’è alcuna missione in partenza verso la Libia”, ha detto la Pinotti, e che l’uso di droni “non è il preludio a un intervento militare”, ha affermato Gentiloni. Lo stesso premier Matteo Renzi ha detto che le autorizzazioni per i voli dei droni americani saranno “valutate caso per caso”.
A poco più di trent’anni dalla crisi di Sigonella, un’Italia consapevole della rilevanza della sua posizione strategica per la delicata questione libica, ribadisce la piena collaborazione con l’alleato americano pur volendo comunque preservare il proprio spazio di autonomia.