Le forze armate italiane… a che punto siamo?

Di Umberto Malusà

In un periodo di riduzione generalizzata dei costi dello Stato, una delle prime voci citate in ogni contesto è senza dubbio quello delle spese per la difesa che vengono costantemente indicate come bacino di recupero di risorse da destinare ad altri fini. Questo atteggiamento ormai non è proprio d’una specifica parte politica ma è trasversale e rischia di trovare consenso in aree sempre più larghe di opinione pubblica, come emerso dal workshop Le nuove frontiere della sicurezza europea organizzato dalla fondazione Italiadecide
Perché questa situazione
Diverse sono le cause che hanno generato questo stato di cose: in primo luogo scontiamo decenni di una virulenta campagna antimilitarista , propria di aree politiche ristrette e generalmente di sinistra, che , nel tempo, si è allargata in un più complesso movimento per la pace che ingloba aree cattoliche, giovanili, ed è oggi presente in buona parte dell’opinione pubblica italiana. Chiaramente ci sono dei distinguo all’interno di questo filone di pensiero ma si fa fatica a separare un più che giustificato anelare ad un mondo senza conflitti da una generica affermazione di “ no alle armi”. Mancanza di conoscenza ed approfondimento dei temi anche in conseguenza di uno specifico atteggiamento dei media ,sempre alla ricerca dell’effetto e della semplificazione della notizia, porta al prevalere di posizioni oltranziste e negative.
Si aggiunga che per decenni si è volutamente evitato di parlare in modo approfondito di sicurezza , di difesa, di investimenti e tecnologie , di ruolo delle forze armate, quasi per un senso di pudore che probabilmente nasce dalle nostre vicende storiche, dalla matrice cattolica della nostra cultura, dal predominare di filosofie politiche di parte… sta di fatto che nella coscienza collettiva del nostro Paese il ruolo della difesa e delle Istituzioni che la rappresentano appare lontano dagli interessi della gente.
Come si è reagito finora
Quando il problema della reputazione delle nostre forze armate si è fatto evidente si è cercato di reagire utilizzando (abbastanza male) tradizionali strumenti di comunicazione ( eventi, pubblicità, riviste, televisione…) veicoli per un generico messaggio di simpatia, talvolta di professionalità, ma non si è mai voluto sottolineare il valore strategico per un paese come il nostro delle Forze Armate.
Si è sempre agito in difesa, preoccupati più a dimostrare il loro ruolo nel quotidiano o nel mondo civile dei nostri militari ( si pensi al loro uso nei momenti critici, nella crisi della spazzatura(!), nell’ordine pubblico – sottolineandone con la scritta “strade sicure” sulle camionette dell’Esercito…) più a cercare giustificazioni in campo civile della loro esistenza che a sottolineare la logica per cui un Paese moderno si dota di sistemi di difesa.
Conseguenze
In questo scenario viene facile per chiunque, di fronte dell’esigenza di risparmio, indicare le risorse investite nella Difesa .
In particolare nel mondo politico , caratterizzato da un frenetica rincorsa ad un consenso sempre più a breve termine, il ricorso a posizioni genericamente negative verso le Forze Armate appare premiante e privo di controindicazioni.
Ne sono esempio recente le polemiche sugli investimenti sui nuovi caccia F35, che hanno fatto breccia nell’opinione pubblica senza trovare adeguate risposte di chiarificazione che motivino l’investimento.
Come invertire il trend
E’ necessario un salto di qualità nelle strategie di comunicazione che superi la fase sopra descritta ed affronti con argomenti seri e concreti l’opinione pubblica.
1) lo scenario futuro
Abbiamo vissuto il più lungo periodo senza conflitti che la storia ricordi, gran parte di noi non ha esperienza diretta di guerra, il desiderio di pace è un’aspirazione ineludibile…ebbene dobbiamo essere consapevoli che tutto ciò non è eterno ma bensì il frutto di un lavoro intenso fatto di diplomazia, politica estera, collaborazioni internazionali, intelligence, capacità di intervento quando serve, deterrenza nei confronti di terzi data dalla qualificazione delle Forze Armate e dalla tecnologia.
Elementi fondamentali in un contesto affatto tranquillizzante: dobbiamo avere il coraggio di descrivere gli squilibri che intorno al nostro Paese si stanno sviluppando e che rischiano di mettere in discussione il nostro futuro. Una situazione che si deve affrontare con la capacità della nostra politica estera di mediare e trovare soluzioni sempre e necessariamente supportata da una presenza e capacità di difesa e di intervento che è il supporto irrinunciabile in ogni intervento di mediazione.
2) L’Europa e la situazione internazionale
E’ corretto collocare queste attività in un contesto europeo e richiedere alle istituzioni europee di farsi carico anche degli investimenti in difesa ma non dobbiamo far finta di non sapere che al momento ciò è impossibile in mancanza di una politica estera comune, di un ruolo politico delle istituzioni europee, di un sistema di difesa europeo che vive solo sulla carta, viziato dalla mancanza della politica estera comune e dai singoli egoismi nazionali che incidono sulla stessa politica estera e su quella industriale, in particolare per ciò che riguarda le aziende stesse della difesa. Il superamento di ciò va richiesto con forza nelle sedi comunitarie, ma non può diventare un alibi per sfuggire ad investimenti indispensabili che , tra l’altro, danno credibilità politica al nostro Paese anche in campo europeo.
Quindi, tenendo conto che continuiamo ad essere il Paese occidentale che investe di meno in percentuale rispetto al PIL nella difesa non possiamo permetterci di cercare consenso su argomenti antimilitaristi, mettiamo in gioco il futuro stesso del Paese. Forse, in questo clima nuovo che il sistema politico italiano sta vivendo, è venuto il momento d cambiare registro su questi temi ed affrontare l’opinione pubblica con chiarezza, senza timori, rischiando certo di dare spazio a posizioni estremiste che .però, si devono affrontare con la chiarezza del messaggio, confidando sulla maturità della stressa opinione pubblica italiana e sulla correttezza del sistema mediatico. Dobbiamo parlare con competenza degli scenari internazionali, dei rischi e della complessità della situazione e di politica estera italiana, grande assente da troppo tempo nel dibattito politico. Sarà più facile poi parlare delle istituzioni militari riportate al loro ruolo fondamentale di tutela della nostra società.
3) L’orgoglio nazionale e la tecnologia
Recuperata la consapevolezza di questa funzione, sarà necessario poi trasferire nuovi valori positivi alle nostre Forze Armate. Già oggi esse godono di un immagine positiva veicolata dalla aspetti umani ( sono i nostri giovani ), da quelli professionali… poco conosciamo invece delle capacità tecnologiche, frutto anche degli investimenti fatti. Ancora una volta fino ad oggi abbiamo sottolineato con energia solo la funzione “ duale “ e cioè le ricadute tecnologiche in campo civile delle tecnologie sviluppate nel militare. Importanti senza dubbio ma non sufficienti e figlie più di un atteggiamento giustificazionista che di una reale sottolineatura dei livelli di innovazione raggiunti.
Ricordiamoci che abbiamo ancora un’ industria competitiva ed autorevole nei sistemi di difesa a livello mondiale.
Del resto se subiamo ancora le polemiche e non facciamo volare i nostri aerei, la PAN in particolare, adducendo un discutibile risparmio di carburante , sarà difficile ricreare quel rapporto di identificazione dell’opinione pubblica con le Forze Armate, supportato dall’orgoglio nazionale per la nostra tecnologia.
Conclusioni
Nella fase concitata delle riforme con cui cerchiamo di dare un futuro al nostro Paese non dimentichiamo quindi di cambiare l’atteggiamento nei confronti delle istituzioni, degli uomini e degli investimenti nel campo della difesa.
E’ un appello a tutti coloro che oggi partecipano al confronto politico al ragionamento consapevole ed alla rinuncia a facili consensi . E’ facile sottrarre risorse al settore militare che mai leverà protesta verso chi decide ne sembra trovare all’esterno supporto sufficiente. Ma così facendo rischiamo di compromettere le nostre possibilità di sviluppo ( e non solo) molto di più che con la crisi economica o a causa delle politiche restrittive dell’Europa.