Speciale Libro bianco Le scelte scomode del ministro

Di passepartout

Quando nel marzo dello scorso anno il ministro della Difesa Pinotti comunicò al Consiglio supremo di difesa la decisione di realizzare un Libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa, molti davano per scontato che vi sarebbe stato un forte ruolo degli stati maggiori e della struttura militare. La scelta del ministro è stata, invece, quella di coinvolgere un ristretto numero di esperti militari e civili, scelti sulla base delle loro capacità e della loro competenza – ma, soprattutto, indipendenza – e di farli poi incontrare con i responsabili delle diverse strutture militari, ma anche con studiosi e accademici, industriali ed esponenti della società civile. D’altra parte, affidare alla struttura militare questo compito sarebbe stato come chiedere al tacchino di scegliere il menu di Natale, considerando che qualsiasi seria riforma avrebbe comportato, oltre alla riduzione a 150mila uomini stabilita dalla legge 244 del 2012, un restringimento della parte superiore della piramide militare, una forte integrazione interforze, una selezione più meritocratica, un abbassamento dell’età media. L’attuale situazione è, purtroppo, il frutto del tacito patto scellerato fra mondo politico e militare che ha caratterizzato la seconda metà del secolo scorso: spendere poco
per sicurezza e difesa, ma non intromettersi di fatto nella gestione degli affari militari. La Difesa è stata in questo modo lasciata in gran parte in mano ai vertici militari e, in parte, a logiche politiche di altra natura: rapporti internazionali, interessi industriali, emergenze (terremoti, alluvioni, spazzatura, ma anche controllo del territorio) o semplicemente “bancomat” per incassare risorse finanziarie con cui far fronte ad altre esigenze. L’eredità di questo disinteresse politico è la mancanza nel nostro Paese di una cultura della sicurezza e della difesa che faccia comprendere all’opinione pubblica e ai suoi rappresentanti la necessità di un efficace strumento militare, con il suo inevitabile costo. Un’altra scelta del ministro Pinotti è stata quella di assumersi in prima persona la responsabilità del Libro bianco, a partire dalle sue linee-guida presentate lo scorso giugno. Il ministro è, di conseguenza, entrato nel merito delle indicazioni contenute nel Libro bianco e questo ha comportato da una parte una sua chiara connotazione “politica”, dall’altra una forte identificazione con la sua linea di azione. Non è, quindi, un esercizio analitico, ma una direttiva politica alle Forze armate per guidare la loro riorganizzazione, indicando gli obiettivi da perseguire sia in termini generali sia specifici. Da questo punto di vista, essere in disaccordo con l’impostazione e con le proposte del Libro bianco significa esserlo col ministro e col governo. Su questo dovrebbero riflettere quegli alti ufficiali che, prima e dopo la sua pubblicazione, hanno ritenuto di poter esprimere forti critiche soprattutto a due aspetti che caratterizzano l’impostazione del Libro bianco: la spinta a una maggiore integrazione interforze e la scelta di una visione strategica più euro-mediterranea. La resistenza al cambiamento di questi ufficiali conferma, peraltro, che non avrebbero mai potuto sviluppare autonomamente il nuovo approccio e che, quindi, il loro coinvolgimento avrebbe minato inesorabilmente il lavoro che è stato svolto durante quest’ultimo anno. Il Libro bianco era stato preannunciato per la fine dello scorso anno: ciò sarebbe avvenuto se la sua presentazione al Consiglio supremo di Difesa non fosse stata posticipata da febbraio ad aprile, a causa delle dimissioni anticipate del presidente della Repubblica. Nel frattempo ha assunto l’incarico il nuovo capo di stato maggiore della Difesa, il generale Graziano; questo può rappresentare un importante vantaggio per la concreta realizzazione delle previsioni del Libro bianco. È, infatti, stato scelto da questo ministro e da questo governo ed è, quindi, in sintonia con il loro progetto riformatore. Ha una vasta esperienza internazionale e nazionale: conosce bene lo strumento militare, ha dimostrato di avere le capacità e la volontà necessarie per misurarsi con una simile sfida, ha davanti abbastanza tempo per avviare l’auspicato cambiamento. Sotto la guida di un ministro che sta dimostrando di voler svolgere fino in fondo il suo ruolo di direzione, le Forze armate hanno oggi un’occasione unica per riorganizzarsi su basi più moderne ed efficienti e per ottenere dal Paese il sostegno che si meritano.

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