I 10 capitoli, 300 paragrafi e 68 pagine del documento forniscono spunti per sostenerne le grandi qualità o l’assoluta inadeguatezza. Basti dire che al fascicoletto manca una sola riga a firma del presidente della Repubblica, che la Costituzione mette a capo delle Forze armate, o del presidente del Consiglio, che sulla Difesa continua a non voler mettere la faccia. Il che è un problema, perché il successo – o il fallimento – del Libro bianco non si giocherà sulla brillantezza delle idee, ma sulla forza politica di superare resistenze corporative. Proprio per questo la parte più interessante è l’ultima, che fissa le tappe immediate della più ambiziosa riforma della Difesa tentata dopo Andreotti (1965). Si scopre subito che le modifiche più urgenti sono state già adottate, nella misura in cui ricadevano nella podestà interna del ministero e delle singole Forze armate (nota polemica: chi può indicare un altro dicastero auto-riformatosi per riduzione senza un giorno di sciopero e anzi aumentando l’operatività?). Anche così, l’ampiezza degli ulteriori interventi attuativi previsti nei prossimi dodici mesi lascia senza fiato. Entro tre mesi – cioè a luglio – sarà riorganizzato l’ufficio del ministro, recuperando funzioni tradizionalmente delegate e cedendo quelle «non strettamente associate». Quali siano il Libro non lo dice, ma non dovrebbe trattarsi di un evento traumatico. Entro sei mesi, dunque prima di Natale, il capo di stato maggiore della Difesa dovrà sottoporre al ministro della Difesa la proposta per la nuova organizzazione dello strumento militare. Alcuni capisaldi sono già enunciati. Il primo è la trasformazione del comandante del Comando operativo di vertice interforze (Coi) in vice comandante per le operazioni, con responsabilità anche per le operazioni condotte da una sola forza armata. Una futura Mare nostrum, insomma, non sarebbe gestita in proprio dal Comando in capo della squadra navale della Marina, ma passerebbe per il Coi. L’idea è valida ma il depotenziamento dei comandi operativi di forza armata sarà difficile da inghiottire. Secondo caposaldo, il supporto alle forze passerà sotto il direttore nazionale degli armamenti, che aggiungerà al proprio titolo “e responsabile per la logistica” (diventando Dnal) e avrà sotto di sé sia le funzioni di “procurement” dell’attuale segretariato generale (che conserverà quelle tecnicoamministrative e sarà retto per definizione da un civile) sia il nuovo Comando logistico della difesa (Cld). Sull’effettiva funzionalità della nuova struttura si giocherà la futura efficienza delle Forze armate, che dovrebbero conservare solo la logistica “di aderenza” specifica al proprio ruolo. Si capisce lo scetticismo. Tempi stretti anche sul modello operativo. Sempre entro Natale 2015 dovranno vedere la luce la revisione strategica (sulla quale è facile prevedere feroci lotte di territorio), la definizione dei livelli di capacità (modo elegante per parlare di sistemi d’armamento, nuovi o tradizionali), l’istituzione della Riserva (finora assente in Italia ma vista come modo per acquisire rapidamente le competenze necessarie per particolari operazioni: idea lodevole, ma di attuazione difficile), nuove norme su tutti gli aspetti del personale (dal reclutamento all’avanzamento, compreso il requisito di periodi interforze ed esperienza internazionale per l’accesso ai vertici) e la gestione della transizione. Entro lo stesso termine Sgd/Dna dovrebbe partorire una strategia industriale e tecnologica (Sit), per definire obiettivi e modalità per il sistema-Paese, comprese le prospettive occupazionali. Come questo possa superare indenne Scilla e Cariddi (cioè la tendenza a far ingoiare alla Difesa programmi di esclusivo interesse industriale, o viceversa quella di imporre alle industrie programmi di nessun interesse commerciale) resta da vedere. Soprattutto alla luce della maggior voce in capitolo reclamata dal Parlamento, con deputati interessati più alle prospettive territoriali che all’efficienza. Il percorso si completerà entro un anno (cioè nell’aprile 2016) con la proposta di modifiche al Codice dell’ordinamento militare e al Testo unico dell’ordinamento militare, che dovrà sancire le diverse attribuzioni di capi di stato maggiore e comandi. La partita è appena cominciata.