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Forze Armate e innovazione tecnologica nel programma Forza NEC: ritorno al futuro? Questo il titolo della conferenza organizzata ieri a Roma dall’Istituto Affari Internazionali, a cui hanno partecipato, in qualità di relatori, il presidente Aiad, Guido Crosetto, il generale Danilo Errico, capo di stato maggiore dell’Esercito, Nicola Latorre, presidente della Commissione Difesa del Senato, l’amministratore delegato di Finmeccanica, Mauro Moretti e il generale Enzo Stefanini, segretario generale Difesa/direttore nazionale armamenti.
Ad oggi per il programma interforze, finalizzato a sviluppare capacità net-centriche (network enables capability NEC), ovvero digitalizzare e interconnettere tra loro gli equipaggiamenti delle forze terrestri sono stati spesi 815 milioni di euro. “Il programma nasce nel 2007 a seguito delle esigenze maturate nei teatri operativi”. Ha spiegato il capo di stato maggiore dell’Esercito, generale Errico, sottolineando quanto sia importante nello sviluppo di questo, come di altri programmi militari, tenere conto delle esigenze e degli assetti futuri che nasceranno già net-centrici. “Il quadro attuale – ha detto – impone alle Forze Armate di gestire programmi troppo lunghi, che devono fare i conti e con l’obsolescenza dei materiali e la necessità di avere a disposizione nuovi assetti, in grado di rispondere ai requisiti operativi”. “I finanziamenti ci condizionano – ha aggiunto il capo di SME – e non possiamo più permetterci programmi troppo lunghi, anche perché le esigenze di oggi non saranno quelle di domani”. Nel 2007, data di nascita del programma Forza NEC, l’intenzione era quella di avere 3 brigate medie terrestri, una landing force anfibia, a cui aggiungerne un’altra brigata, caratterizzata da nuovi requisiti tecnologici. “Siamo ancora nella fase di sperimentazione”, ha detto il capo di SME, dopo aver mandato in produzione, “attuando una scelta intelligente” per ridurre tempi e costi, quello che era maturo e solo “nel 2021 avremo la prima brigata completamente digitalizzata”, ma ce ne serviranno almeno 4. Il generale Errico ha poi spiegato che, rispetto allo stanziamento pubblico, il 65% degli obiettivi è stato realizzato. “Per la produzione vera e propria siamo lunghi”, ha spiegato, ma “grazie al costruttivo rapporto con l’industria e al Libro Bianco abbiamo aperto la strada per il passo successivo, ovvero il processo di integrazione interforze e a livello Nato”. Nell’ambito del programma l’Italia testerà nel 2015 4 macroaree del programma, che andrà “necessariamente e rivisto (i finanziamenti attuali non coprono 4 brigate, ndr) e per questo servirà capire qual è il livello di ambizione del Paese”.
“Non possiamo ogni anno ridurre il budget della Difesa, mentre gli altri lo aumentano a doppia cifra”. Ha detto Mauro Moretti, esortando al contempo l’industria della difesa a unirsi attorno ad un unico tavolo per evitare inutili dispersioni. “Nella metamorfosi attuale la parte europea della Nato è l’anello debole della catena”. Per il numero uno di Finmeccanica è pertanto necessario arrivare ad avere requisiti unici, quanto meno europei, evitare programmi lunghi “che sprecano risorse” e dividere meglio i compiti. “In Europa siamo talmente frammentati che rischiamo di fare una brutta fine in tempi brevi”. “Le Forze Armate ci devono dire cosa vogliono – ha aggiunto Moretti -, anche perché grazie al Libro Bianco si è aperto un dialogo costruttivo, che espande la visione a prescindere dai soli costi”. “Sono confidente – ha concluso – che la politica darà buoni segnali per incrementare l’efficacia operativa con la tecnologia”.
In questo contesto, sia da parte delle Forze Armate, che da parte dell’industria l’accento è stato posto nuovamente sulla certezza degli investimenti. “La cooperazione tra industria e Difesa è assolutamente fattibile – ha detto il generale Enzo Stefanini -, purché vi sia una programmazione certa. L’esempio migliore – ha aggiunto il direttore nazionale armamenti – ci arriva dalla legge navale, che si è perfezionata in meno di 12 mesi, pur operando in un ambito complesso e di elevato livello tecnologico”. “La differenza – ha detto il responsabile di Segredifesa – l’ha fatta da un lato la certezza dei finanziamenti (circa 5,4 miliardi di euro spalmati su 20 anni per il rinnovo della flotta della Marina Militare, ndr) e dall’altro la visione comune tra Difesa e industria”. “Nonostante le divergenze – ci ha spiegato Stefanini – si è arrivati ad un fine unico, in maniera assolutamente coerente”.