L’evoluzione della guerra in Siria e i possibili sviluppi

Di Giancarlo Elia Valori

Il reportage di Giancarlo Elia Valori sulla crisi siriana e i possibili sviluppi della guerra pubblicato su www.formiche.net

Le forze di sicurezza dell’Iraq, le “aquile d’oro”, sono entrate a fondo nell’area di Mosul Est, mentre le stesse forze dell’Iraq sciita e i guerrieri curdi peshmerga operano sia a Est sia, soprattutto, a Sud dell’area periferica di quella città. Le azioni di entrambi i corpi operano dopo che il contro-terrorismo iracheno e la Nona divisione delle forze dell’Iraq stanno “ripulendo” soprattutto l’Est di Mosul, antica capitale curda, peraltro. L’Isis risponde a queste operazioni con numerosi cecchini, molti attentati suicidi e, in qualche punto, con dei pezzi attivi di artiglieria pesante, per mettere in sicurezza il centro di Mosul e rispondere al fuoco degli iracheni e dei peshmerga. L’accerchiamento della città è comunque stato realizzato, mentre i peshmerga curdi hanno riconquistato Bashiqa, proprio quando l’Isis ha attaccato Shirqat e, nel frattempo, le Forze democratiche siriane, sostenute dagli Usa, operavano per conquistare, dopo il suo accerchiamento, Raqqa, la “capitale” del Califfato di Al-Baghdadi. Niente vieta però che, partendo da Dair El-Zour, l’Isis non possa ricollegarsi con la città di Qaim, ancora tenuta dai seguaci del califfo. Il che potrebbe causare un parziale accerchiamento dei militari curdi e iracheni. Gli Usa devono quindi limitarsi a sostenere le operazioni contro l’Isis oltre Mosul, nella valle oltre l’Eufrate. Il Califfato ora potrebbe rinchiudersi in piccolissimi settori molto sicuri e da lì lanciare delle operazioni per ricreare una zona di copertura e un nuovo “califfato”, vicino alla Turchia e ben all’interno dell’Iraq.

Questo breve reportage dal terreno di operazioni ci dà l’idea dell’intero quadro del Medio Oriente dopo che ci sarà la chiusura delle operazioni contro il Califfo. Gli Usa, peraltro, operano in stretta correlazione con la Turchia, con la quale, afferma il Gen. Dunford, “conquisteranno e governeranno Raqqa”. In altri termini, Ankara controllerà, in relazione con gli Stati Uniti, gran parte dell’ex-territorio dell’Isis, che è stato però conquistato da militanti e guerrieri curdi e iracheni. Si può pensare quindi a un nuovo Kurdistan tra Siria e Iraq, separato nettamente dall’area curda anatolica, nel cui territorio intermedio, ex-siriano, stazionerà proprio la Turchia. Da ciò deriva il frazionamento, sempre più probabile, dell’intera Siria, con aree a Nord-Est controllate dalla Turchia, l’”Alawistan” costiero protetto dalla Russia, il centro sunnita autonomo, ovviamente senza il governo minoritario di Bashar el Assad, e una “piccola Siria” ai confini dell’Iran, sempre eventualmente al comando degli Assad.

Sembra una soluzione razionale, ma è foriera di notevoli pericoli. La Turchia userà le aree conquistate insieme agli Usa nel vecchio “califfato” per congiungersi con le popolazioni di origine turca in Asia Centrale, intersecando e magari ostacolando gli interessi dell’Iran e della Federazione russa. Dall’altra parte, ci sono a Nord Est le forze siriane e russe che stanno penetrando proprio l’area di Raqqa, e non è improbabile uno scontro tra le Forze democratiche siriane, la Turchia e gli Usa contro quelle russe e siriane del regime di Bashar. Sarà nel Nord della Siria quindi che passerà il confine tra i due “mondi”, Russia e Usa, con i loro proxies e le loro varie forze sul territorio. E’ probabile poi che gli Usa faranno di tutto per sostituire il “califfato” con un governo autonomo delle Forze democratiche siriane, dei nuovi jihadisti sostenitori degli americani, in effetti. Non sarebbe quindi irragionevole pensare a un’entità autonoma, nell’area dell’ex-Isis, costituita da queste strane forze “democratiche” che, gestendo il territorio contro la Russia, i curdi iracheni, i turchi e soprattutto i siriani di Assad, spezzerebbero stabilmente l’unità della vecchia Siria degli alawiti, eredità dell’attento colonialismo francese. I jihadisti cattivi, residui dell’Isis, scapperebbero poi, come in parte hanno già fatto, verso l’Occidente e in futuro la Cina, per il loro nuovo jihad da “lupi solitari”.

La Federazione Russa sta invece indirizzando le sue primarie attenzioni verso Damasco e Aleppo. Sta arrivando in Siria, nella sua costa mediterranea, la portaerei Ammiraglio Kuznetsov con nuovi jet Su-33 e MiG 29 dotati di munizioni ad alta precisione e elicotteri d’attacco Ka-52. A questa nave portaerei è stata aggiunta una squadra con almeno tre sottomarini dotati di potenti e esattissimi missili Kalibr, quelli precedentemente usati in Siria dalle navi russe del Mar Caspio. Queste armi sosterranno le forze siriane di Assad sempre ad Aleppo e Damasco, come abbiamo già notato, ma Mosca dubita ormai che la guerra siriana sia un modo di imporre una presenza globale della Russia o possa comunque fornire la possibilità di una stabile coalizione con gli occidentali. La portaerei russa sosterrà Assad nella sua lotta alle forze jihadiste, anche quelle pro-Usa, intorno ad Aleppo, dopo aver in parte rallentato le missioni aeree in relazione alle sanzioni Usa ed Eu. Se aumenteranno le tensioni ad Aleppo e a Damasco, la Russia ricomincerà a bombardare sistematicamente le aree dei jihadisti, anche fuori dalle suaccennate città. Sia Putin che Bashar, inoltre, sono sempre più sicuri della loro vittoria nell’area “centrale” della vecchia Siria.

Quindi, per semplificare, gli Usa penetreranno, durante e dopo il conflitto siriano, nel sistema terrestre del Medio Oriente, per controllare Russia, Siria alawita, Iran e area curda. Se è possibile una qualche alleanza tra Russia e Turchia, laddove Ankara si sente isolata dal vecchio sistema Eu, l’America proporrà allora alla Turchia una alleanza bilaterale per tenere il Medio Oriente, anche oltre gli obblighi Nato che valgono solo per chi ci crede. La Russia si terrà la parte costiera mediterranea della Siria, con il massimo di terreno siriano possibile da concedere all’alleato Bashar, che farà da area di protezione della presenza di Mosca. I russi vogliono rientrare in forze, quindi, nel quadrante mediorientale, che è la chiave dell’Europa e l’asse a Nord del passaggio degli idrocarburi, mentre la Russia detiene anche quello a sud, con la Crimea e l’Ucraina. Gli Usa vogliono anch’essi una presenza certa nel medesimo quadrante, che sia soprattutto alternativa all’alleanza con Israele.

La Gran Bretagna sa, pur partecipando con il minimo impegno ai raid aerei contro la Siria “terroristica” e quella sciita di Assad, che i Syrian Free Soldiers, che gli Usa stimano addirittura essere 70mila, sono un umbrella group Usa di gruppi jihadisti cessati anni fa. Londra potrebbe quindi proporsi come mediatore per una pace sostanziale tra i molteplici gruppi nazionali che operano nella guerra siriana, magari cessando di seguire i consigli dell’alleato americano. I sauditi e il Qatar, con un sostanziale apporto turco, hanno poi creato in Siria l’Esercito della conquista, prendendo jihadisti soprattutto da Al Nusra, l’area qaedista della Siria, ma Londra sta ricreando, soprattutto tramite la Cina, un clima adatto a una trattativa seria sulla Siria, basandosi sul fatto che ha contribuito scarsamente a ogni azione occidentale in Siria.

E Israele? Lo stato ebraico ha sempre letto come un pericolo immediato e primario la presenza della Siria sulle alture del Golan e il suo sostegno al libanese Hezbollah. Quindi, la crisi di consunzione del regime di Bashar nella guerra civile siriana ha portato a una qualche tranquillità di Israele sul fronte del Golan, aumentata anche dal nuovo rapporto che Gerusalemme ha sperimentato con la Russia di Putin. Però, la presenza dell’Iran e del partito di Dio libanese nel contesto siriano è un ulteriore elemento di pericolo per le forze armate israeliane. La variabile è il nuovo rapporto con la Russia, che riguarda sia lo scambio di informazioni militari che, probabilmente, l’interesse di Mosca a separare i contendenti nel guazzabuglio siriano e nei suoi immediati confini, sostituendo finalmente gli Usa come partner primario dello stato ebraico. Quindi, la destabilizzazione della Siria, a meno che non ci sia, in un non lontano futuro, una vera conferenza di pace, sarà il modo in cui l’Unione europea sarà, cosa che non accadeva prima, a diretto contatto con il jihad della spada e “permanente” avendo a difesa solo una sottile linea russo-alawita sulla costa mediterranea siriana.

Quos Deus perdere vult, dementat.

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