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L’intervento di Andrea Manciulli, presidente della delegazione italiana all’Assemblea parlamentare della Nato, pubblicato sul numero di dicembre di Airpress.

Terminata la fase storica dello scontro bipolare, più volte è sembrato che l’Alleanza atlantica avesse esaurito le proprie funzioni. Questa idea sbagliata, che si ripropone a scadenza biennale ogni volta che i Paesi Nato si riuniscono nei summit, è frutto di analisi spesso miopi, che non approfondiscono con la dovuta attenzione il merito delle vicende e del tempo che stiamo vivendo né, tantomeno, hanno la sufficiente ambizione di comprendere e immaginare gli scenari futuri. Nelle ultime settimane l’Alleanza atlantica è tornata a essere protagonista di un confronto dialettico sul suo futuro, in parte generato dall’esito delle elezioni americane e dal timore di un possibile disimpegno statunitense da questioni non direttamente afferenti gli interessi di Washington. Il neo-eletto presidente Usa solleva una questione non nuova circa la giusta ripartizione degli oneri nell’Alleanza. Del cosiddetto burden sharing si discute da anni, non solo in termini di European smart defence in visione transatlantica, ma anche in termini più strettamente europei, perché riguarda il progetto d’integrazione europea della difesa. Non bisognava aspettare Trump per sapere che per rispondere alle minacce in atto c’è bisogno di investire di più e con coerenza in Europa. Diversi sono stati negli anni i tentativi di stabilire dei parametri condivisi di spesa destinati alla difesa, così come quelli in direzione di un’integrazione europea della difesa. Tra questi, l’Italia non ha mancato di proporre la strategia di una Forza europea multinazionale, nell’ottica di una “Schengen della difesa”.

Ora, i Paesi Ue sono chiamati ad assumersi delle responsabilità e a prendere delle decisioni talvolta impopolari, ma che vanno certamente a soddisfare un bisogno di sicurezza avvertito dai nostri cittadini, anche se limitatamente allo scoppiare di un caso clamoroso, come un attentato terroristico. Il mutare delle minacce e l’emergere di nuove sfide, come quella cibernetica, impongono però un ripensamento della strategia di difesa, esigono un interessamento costante a fenomeni che controlliamo poco ma che sono fortemente pervasivi e capaci di condizionare lo stile di vita della nostra società. Ecco, dunque, quanto sia necessario investire in una difesa d’avanguardia, capace di anticipare e prevedere una minaccia; quanto sia importante parlarne ai cittadini, tornando a sensibilizzare l’opinione pubblica su questi temi, a fare didattica dei valori e frenando l’impoverimento della cultura della sicurezza.

Le minacce non sono più geograficamente circoscrivibili, ma viviamo in un’epoca in cui l’infinitamente piccolo è divenuto infinitamente grande, multipolare, e le crisi locali hanno spesso effetti globali. Stiamo vivendo un momento di forte frattura: da alcune certezze strategiche stiamo passando a un campo in cui fenomeni che controlliamo meno devono trovare risposte adeguate. In questo, gli Stati Uniti hanno bisogno della Nato come la Nato ha bisogno di rafforzare i legami con l’Ue, e in questi termini è importante ricordare la collaborazione sperimentata nel Mediterraneo e quella che si sta costruendo nel campo cibernetico. Ancor di più, dato il carattere globale di crisi locali, la Nato ha bisogno di collaborare anche con altri partner regionali, come i paesi del Dialogo mediterraneo, così come di assistere con i consolidati programmi di capacity building i Paesi che sono teatro di crisi, come l’Iraq, dove dal prossimo anno partirà l’addestramento delle forze di difesa locali come contributo alla lotta contro lo Stato islamico.

Dopo il dramma delle guerre mondiali e durante l’epoca della grande tensione della Guerra fredda, l’occidente ha promosso, anche attraverso la ricostruzione e le organizzazioni internazionali, pace e sviluppo. Ora, in una fase nuova della storia, molto più complessa e difficile, dove altri protagonisti sono emersi sullo scenario globale, noi abbiamo il dovere di ridare un senso all’ordine internazionale, vedendo in questo una sfida positiva, ripartendo dalla comprensione attenta del presente e ridando centralità alla politica e ai suoi strumenti. Non solo i singoli Paesi, non solo l’Europa, ma tutta l’Alleanza atlantica è chiamata a tale sfida, ritrovando il senso più profondo dei suoi valori fondativi e una nuova cultura della sicurezza globale.

Il fatto che la Nato possa essere percepita come un insieme di Paesi incapaci di difendersi senza il contributo americano evidenzia il bisogno, da parte di ogni suo componente, di spendere maggiori sforzi per affermare invece che l’Alleanza è una comunità di difesa coesa, chiamata a proiettarsi costantemente nel mantenimento della pace, dove ogni componente è parte fondamentale di questa comunità fondata sui valori della solidarietà e della democrazia. L’Alleanza deve ripensarsi in questo senso: il suo rilancio dipenderà dalla capacità di trasmettere i valori che rappresenta da sempre e di trovare strumenti, anche nuovi, per promuovere la pace. Questo obiettivo di rilancio potrà essere il fertile terreno di crescita e di lavoro anche per una nuova generazione di politici.