Come Mattis si allontana da Trump su Russia e Iran

Di Stefano Pioppi

“Putin vuole fare a pezzi la Nato”. Lo ha detto, sorprendendo un po’ tutti, James Mattis, l’uomo che Trump ha scelto per guidare il Pentagono. Il generale quattro stelle in pensione del corpo dei Marine è intervenuto di fronte alla commissione delle Forze armate del Senato per la sua conferma a segretario alla Difesa. Ritiratosi dal servizio attivo nel 2013, Mattis non rispetta il requisito dei 7 anni tra carriera militare e segretariato Difesa, imposto dal National Security Act del 1947, rendendo necessaria una speciale autorizzazione dal Parlamento. Autorizzazione che il Senato ha concesso a Mattis,  con 81 voti favorevoli e 17 contrari. Si attende ora anche l’esenzione alla legge da parte della Camera dei Rappresentati.

La distanza del generale rispetto ad alcune posizioni del magnate, in particolare per quanto riguarda l’arretramento dal Medio Oriente e la riduzione dell’impegno in seno all’Alleanza Atlantica, era risaputa da prima dell’audizione. Proprio per questo, anche noi di Airpress, avevamo da subito considerato Mattis, generale e intellettuale esperto, avvezzo alle logiche cooperative della Nato, una scelta rassicurante per gli Alleati. Eppure nessuno si aspettava che mad dog (così è soprannominato Mattis dalla guerra in Iraq, durante la quale guidò la presa di Falluja contro l’insorgenza), si esprimesse in termini così diversi da quelli utilizzati dal presidente eletto. La Russia è “la principale minaccia alla sicurezza nazionale”, ha detto Mattis. “Ha scelto di essere un avversario strategico in aree fondamentali”, ha aggiunto. Per questo, la Nato deve tornare ad essere, secondo il prossimo segretario alla Difesa (ormai l’autorizzazione sembra scontata), “l’alleanza militare di maggior successo nella storia moderna, forse di sempre”. Mattis ha guidato per due anni il Comando alleato per la trasformazione (Sact), dimostrandosi un forte sostenitore della proiezione internazionale statunitense a sostegno degli Alleati, non solo per interessi economici e puntuali che sembrano invece guidare la logica trumpista.

Anche per questo, il segretario alla Difesa uscente Ash Carter, aveva da subito accolto l’annuncio della scelta di James Mattis con favore, affermando: “Conosco il generale da molti anni e lo tengo nella più alta considerazione. Continuerò a fare tutto il possibile per contribuire a garantire una transizione senza soluzione di continuità”.

Durante l’audizione, hanno stupito forse di più le parole che Mattis ha riservato all’Iran deal, l’accordo nucleare iraniano contro cui Trump ha costruito gran parte della campagna presidenziale in politica estera. Il nuovo presidente continua a ribadire l’intenzione di smantellare l’accordo, cosa difficile, data la natura internazionale del trattato, ma comunque chiara nel programma del tycoon. Eppure, Mattis, pur riconoscendo che l’Iran deal resta “un accordo imperfetto”, ha affermato: “Quando l’America dà la sua parola dobbiamo rispettarla e lavorare con i nostri alleati”. Tali affermazioni hanno stupito ancora di più anche perché, nel 2013, Mattis aveva lasciato il comando dell’Us Central command (Centcom), con responsabilità militare per la protezione degli interessi americani in circa venti Paesi dal Corno d’Africa all’Asia centrale, per le note divergenze con la presidenza Obama proprio sull’accordo iraniano. L’impressione è ora che Mattis sia tutt’altro che un elemento di discontinuità rispetto alla presidenza uscente ma che anzi possa indirizzare la politica Usa verso un potenziamento della postura internazionale.