La Nato verso il vertice di Bruxelles. L’evento a Roma

Di Stefano Pioppi

La Nato è ancora indispensabile? Sì. Almeno secondo quanto emerso dal dibattito che la Nato Defense College Foundation e la delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare della Nato hanno organizzato ieri a Roma. “Ci troviamo al centro di una serie di conflittualità che non accennano a diminuire”, ha chiarito Paolo Alli, che dell’Assemblea atlantica è presidente.“Il terrorismo e la dimensione cibernetica hanno volgarizzato la minaccia portandola dentro le case dei cittadini”, ha aggiunto Andrea Manciulli, presidente delle delegazione italiana. “Teniamoci stretta la Nato”, è dunque l’invito lanciato da Alli.

Oltre a loro, sono intervenuti al dibattito alla Camera il presidente della Fondazione Alessandro Minuto Rizzo, il direttore esecutivo del German Marshall Fund of the United States Ian Lesser, il senior director per Nato e Europa del National Security Council di Washington Richard Hooker, il deputy assistant del segretario generale della Nato Jonathan Paris, il vice presidente della Ndc Foundation Stefano Silvestri, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, già ministro della Difesa, il vice presidente dell’Istituto Affari Internazionali Vincenzo Camporini, e il vice capo della divisione Ricerca del Ndc Brook Smith-Windsor.

Verso il vertice a Bruxelles
I vari interventi hanno fatto il punto sullo stato dell’Alleanza, a pochi giorni dal vertice straordinario dei capi di Stato e di governo che andrà in scena la prossima settimana a Bruxelles. Un appuntamento che appare importante per almeno due ragioni. Prima di tutto, perché si discuterà di spese per la difesa e della fatidica quota del 2% del Pil da destinarvi. Probabile che gli Stati prendano, dopo il vertice in Galles nel 2014, nuovi impegni in questo senso, spinti ormai da mesi dalla nuova amministrazione Usa. Secondo, proprio perché debutterà tra i colleghi Nato Donald Trump. Non sarà il solo, dato che sarà a Bruxelles per la prima volta anche il nuovo presidente francese Emmanuel Macron, che dell’obiettivo del 2% entro il 2025 ha fatto un punto centrale del proprio programma Difesa.

Pressione da Washington
I toni critici che il tycoon aveva usato nei confronti dell’Alleanza durante la campagna elettorale si sono ormai affievoliti. Dal segretario di Stato Rex Tillerson, dal segretario alla Difesa James Mattis e dallo stesso Trump sono già arrivati messaggi rassicuranti sull’impegno Usa nella Nato, tornata ad essere “fondamentale”. Eppure, la nuova amministrazione americana ha sempre tenuto a chiarire un punto: gli Stati Uniti ci sono e non arretreranno, ma gli alleati devono fare la propria parte investendo di più. Così, dall’insediamento, il tema di un corretto burden sharing tra le due sponde dell’Atlantico è tornato centrale nel dibattito Nato, anche all’interno dei singoli Paesi, Italia compresa.

Le minacce da affrontare
“Il tema va affrontato in termini molto razionali”, ha detto Alli, poiché si lega inevitabilmente al contesto in cui l’Alleanza opera; e questo, in virtù della complessità delle minacce, “richiede investimenti sempre maggiori”. “La necessità di aumentare l’efficacia dell’azione determina costi più alti per adeguare i sistemi alle esigenze di sicurezza”, ha spiegato ancora Alli. Ci troviamo in “un momento di frattura, non ordinario, paragonabile alla rivoluzione che ci fu con l’introduzione della polvere da sparo rispetto agli eserciti basati sulla cavalleria”, ha invece aggiunto Manciulli indossando le vesti delle precedente esperienza di storico militare. “La dimensione cyber, il terrorismo, la guerra asimmetrica e il ritorno a una deterrenza spuria – ha aggiunto – stanno frammentando e scomponendo un mondo che aveva un suo ordine”. Il risultato è una “fase in cui con molto poco, con la dimensione micro, si può mettere in discussione il macro”. E, “se l’Alleanza non è capace di rispondere a questo tema non sarà in grado di rafforzarsi”, ha detto Manciulli chiedendo: “Quanti Stati europei sono in grado di affrontare da soli gli investimenti necessari? E siamo noi in grado di affrontare il declino che ci sarebbe nel caso in cui ciò succedesse?”.

Percepire e condividere
Ma affinché la corretta interpretazione delle minacce si trasformi in supporto effettivo all’Alleanza e in un maggiore impegno in difesa e sicurezza, è necessaria che esse siano correttamente percepite da governi, parlamenti e opinioni pubbliche, e che tale percezione sia condivisa da tutti gli alleati. “È questo il vero grosso problema”, ha detto l’ammiraglio Giampaolo Di Paola. Si tratta di “sforzarsi di avere una visione condivisa, di fare un passo verso le sensazioni e percezioni altrui”. Eppure, ha aggiunto il generale Vincenzo Camporini, “le élite al governo si sono spesso dimostrate pienamente consapevoli”, come ha fatto l’Italia con la missione di air policing in Islanda o i Paesi baltici partecipando a operazioni nel Mediterraneo.

“Il problema serio è l’evoluzione dell’opinione pubblica europea”, ha detto Camporini. “Il risultato in Francia resta preoccupante, perché un terzo dei francesi pensano che gli interessi del loro Paese siano diversi da quelli del resto dell’Europa”. Ciò, richiede “lo sforzo di rendere consapevoli le opinioni pubbliche attraverso un operazione di educazione e coinvolgimento che darebbe più forza a tutto, compreso il consenso dell’elettorato all’aumento del budget”, ha spiegato il vice presidente dello Iai. Sul fronte interno, tali risorse sono da destinare, ne è convinto Camporini, “ad addestramento e manutenzione”, con “un’opera di riforma interna che deve essere correttamente comunicata” e che è partita con il Libro Bianco ancora in fase di attuazione.

Tra Nato e difesa europea
Serve, ha detto Manciulli, “un linguaggio che spieghi perché è fondamentale rilanciare la Nato e altre e nuove forme di cooperazione in sicurezza”. Un altro tema centrale del dibattito internazionale è infatti il progetto di integrazione della difesa europea. Solo ieri, il Consiglio dell’Ue ha approvato nuove conclusioni per accelerare l’attuazione della Global Strategy nei temi di difesa e sicurezza. “Non c’è contraddizione tra la strategic autonomy europea e la Nato”; ha chiarito Camporini. Significa, come pensato dall’origine del progetto di integrazione della Difesa, che “le crisi che non sono di interesse della Nato possono essere gestite dall’Ue”, ha aggiunto il generale. Ma attenzione, ha rimarcato Di Paola: “autonomia strategica significa autonomia decisionale in isolamento o attraverso un interscambio strategico?”. La difesa europea, secondo l’ammiraglio, “deve essere in quadro di coerenza con gli Stati Uniti, in un dialogo strategico costante e strutturato”.

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