Nato, il giorno di Trump a Bruxelles

Di Emanuele Rossi

Giovedì 25 maggio, il presidente americano parteciperà a un summit Nato tagliato a suo gradimento. A Bruxelles Donald Trump incontrerà i rappresentati dei Paesi alleati e il vertice (un cena di lavoro che seguirà l’inaugurazione della nuova sede centrale), spiega la portavoce dell’Alleanza Olga Lungescu a BuzzFedd, sarà “breve e focalizzato su due argomenti: aumentare il coinvolgimento della Nato nella lotta al terrorismo” e trovare il modo per arrivare a “una più equa ripartizione degli oneri”.

La lotta la terrorismo
I main topic del vertice sono esattamente sul solco Trump. Spostare l’interesse dell’Alleanza sulla guerra al terrorismo è una delle richieste più insistenti avanzate dal presidente. Si ricorderà che la famosa definizione “è obsoleta” affibbiata in campagna elettorale proprio alla Nato si portava dietro una spiegazione in questo senso – è obsoleta perché dovrebbe combattere il terrore globale invece di essere una forza di deterrenza politica occidentale (tutto con accezione scettica, secondo DT). Più avanti, dopo l’incontro a metà aprile col segretario generale Jens Stoltenberg quando era già presidente, Trump in conferenza stampa riprese la stessa semantica, ma con una negazione davanti: la Nato “non è più obsoleta”, diceva il presidente, perché, spiegava, sta ascoltando i miei consigli e si metterà a fare la guerra al terrorismo. La possibilità: Washington alla guida di una coalizione Nato che combatte lo Stato islamico; in pratica un revival, più strutturato però, di quella che attualmente viene definita “la Coalizione internazionale anti-IS”, sotto l’egida dell’Alleanza Atlantica.

Follow the money
Da qui il secondo aspetto: la ripartizione delle spese. Coinvolgere i 28 paesi alleati nella lotta al terrorismo ha anche un’ottica economica. Gli Stati Uniti da tempo stanno chiedendo agli altri membri della Nato di rispettare gli accordi presi al vertice gallese del 2014. Lo ha fatto più volte Barack Obama, lo ha fatto con una leva comunicativa meno polite Trump, ma la sostanza è la stessa: quelli che arrivano a investire in spesa miliare il 2 per cento del Pil, come deciso in Galles, si contano ogni anno sulle dita di una mano, gli altri stanno sotto, e gli Stati Uniti, che viaggiano a una cifra più o meno doppia di spese difensive, si sentono oberati del peso economico dell’intero meccanismo (dato 2015: Washington ha sostenuto più del 75 per cento dell’intera spesa militare dell’Alleanza). La lotta al terrorismo è questione stringente e trasversale, e per questo è una leva per aumentare il coinvolgimento degli alleati.

I soldi americani sconfiggono l’Is
Attualmente le campagne ibride che stanno sconfiggendo, lentamente, lo Stato islamico sono composte da attività tecnologiche fornite dall’Occidente – qui si intende la consulenza militare, le operazioni di intelligence soprattutto strumentali, e i bombardamenti aerei –, mentre forze locali mettono gli stivali sul terreno. Se si esclude l’importantissimo addestramento fornito soprattutto dagli italiani a Erbil, nel Kurdistan iracheno, il centro di monitoraggio gestito dai servizi segreti francesi sempre a Erbil, l’advising sul campo dei SAS inglesi nel nord della Siria e in alcune battaglie irachene, l’impegno dei membri Nato è minimo. Tutto o quasi grava sugli Stati Uniti. Quando sentiamo parlare di raid aerei contro il Califfato, dobbiamo immaginare che cacciabombardieri, o velivoli senza pilota, americani hanno bombardato l’IS. Raramente queste operazioni più costose (anche semplicemente per spese vive, carburanti, usura, armi) vengono condotte da altri paesi: molti, come l’Italia per esempio, le hanno proprio escluse dai propri piani di ingaggio. E questo è ovviamente gravoso per l’America dal punto di vista del coinvolgimento generale, anche e non solo economico.

L’ottica nazionale di Trump
Soprattutto per un presidente che dipinge la sua visione più orientata verso il concetto di “nazione” piuttosto che di “impero”. Trump sa che non può rinunciare al ruolo americano nel mondo, ma cerca di farlo tailored – come per un vestito su misura, è il termine che i media americani usano per il vertice Nato, per esempio – sui suoi gusti. Ossia, coinvolgendo i Paesi amici. La Casa Bianca trumpiana, inoltre, ha da sempre considerato la guerra al terrorismo come un obiettivo centrale: anche per questo riuscire a focalizzare la Nato sul tema terrorismo sarebbe un successo politico per il presidente americano.

I cori russi
Sullo sfondo, i soliti crucci: Lungescu ha ammesso che il dossier-Russia è stato escluso dai punti all’ordine del giorno, nonostante la strategia Nato resterà sempre la stessa – postura rigida, che però non esclude il dialogo. È evidente che l’esclusione abbia l’obiettivo di far sentire Trump più a suo agio. L’americano vuole cercare di includere Mosca in una maxi-coalizione contro il terrorismo; su questo, per esempio, ha giustificato l’inopinata spifferata sulle informazioni segrete di intelligence fatta al ministro degli Esteri russo nello Studio Ovale. I russi hanno interesse al contenimento terroristico perché una grande quantità di foreign fighter è partita dalle regioni caucasiche per unirsi al jihad califfale e potrebbe tornare in patria con piani terroristici. Però per il momento l’interesse del Cremlino non collima con quello Nato su tanti altri aspetti.

Gli alleati abbozzano, interessati
Questi contrasti sono stati al centro dei vertici di Cardiff e Varsavia, ma resteranno fuori dal “breve” incontro – rapido come piace a Trump – di Bruxelles, per non imbarazzare il presidente con un piede nel Russiagate al suo esordio pubblico dentro l’Alleanza. “La Russia non è un argomento di discussione per questa riunione”, ha commentato Saulius Gasiunas, ministro della Difesa lituano, ma “non siamo frustrati”: anche i paesi baltici, che pianificano la propria sicurezza sul contenimento russo (a tratti ne sono ossessionati), accettano dunque la situazione per un bene superiore. La situazione la potremmo così semplificare: ‘gli Stati Uniti devono restare i leader della Nato, poi ci adatteremo’, anche perché la bozza di bilancio per il 2018 presentata in questi giorni a Washington include 4,8 miliardi di dollari da mettere nell’European Reassurance Initiative, un piano di contenimento della Russia pensato da Obama dopo l’annessione della Crimea. Trump ci ha messo 1,4 miliardi in più di Obama, e questo passa, per il momento, sopra al fatto che ancora il presidente non abbia chiarito una sua vecchia uscita contro l’articolo V dell’Alleanza, quello sulla risposta collegiale a un attacco (in campagne elettorale disse che gli Stati Uniti avrebbero prima valutato se valeva la pena in termini economici).

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