Alzi la mano chi tra i mille annunci e la pioggia di comunicati stampa del salone aerospaziale di Le Bourget ha notato la firma di un documento che impegna le Military airworthiness authority (autorità militari di aeronavigabilità, MAwA) di 18 Paesi a procedere sulla strada del riconoscimento reciproco delle rispettive certificazioni di aeromobili. Eppure, in un anno in cui la Brexit sembra aver rilanciato la difesa europea, incamminarsi lungo la strada della mutual recognition è un passo avanti importante in termini di semplificazione e di creazione di un vero mercato unico della difesa europea – e forse anche più, dato che tra i firmatari c’è anche l’Australia.
I punti di partenza del discorso sono essenzialmente due. Il primo è il peso, anche economico, rappresentato dalle certificazioni, ben incapsulato dalla frase attribuita a Donald Douglas secondo cui “quando il peso delle carte è pari al peso dell’aereo, l’aereo è autorizzato a volare”. Il secondo è la graduale convergenza dei regolamenti di certificazione dei Paesi europei in campo civile, avviata nel 1970 su base volontaria dalle autorità aeronautiche civili (per l’Italia, l’allora Rai) tramite le Joint airworthiness authorities (Jaa) e sfociata nella creazione di Easa nel 2009. In questo modo, una sola certificazione vale in tutti i Paesi Easa, che diventa l’interlocutore unico nei confronti degli altri Paesi. In campo militare, ogni Paese ha seguìto una propria strada sviluppando una normativa aeronautica, fino ad approdare a processo, analogo a quello civile, dove la MAwA – per l’Italia Armaereo, la Direzione degli armamenti aeronautici e per l’aeronavigabilità del ministero della Difesa, oggi guidata da Francesco Langella – certifica il tipo di aeromobile militare presentato dalla ditta responsabile di sistema e quindi verifica la rispondenza dei singoli esemplari al tipo certificato, registrandolo nel Registro degli aeromobili militari (Ram) depositato presso Armaereo e paritetico al Registro aeromobili nazionale (Ran) tenuto dall’Enac. Si tratta di funzioni simili a quelle di Easa/Enac per gli aeromobili civili, perché in fondo la questione centrale è quella della “ammissione alla aeronavigabilità”.
Tenendo in debito conto accordi circoscritti nel caso di programmi internazionali, la certificazione di tipo è responsabilità delle singole MAwA. Sinora la molteplicità delle MAwA è stata un appesantimento per le industrie (costrette a ri-certificare il prodotto in ogni Paese nel quale volessero venderlo), ma anche per le amministrazioni (costrette a duplicare processi già svolti), senza trascurare la possibilità di trasformare l’ostacolo burocratico in una sostanziale chiusura dei mercati. Anche le soluzioni intermedie, quali la stesura in comune dei requisiti e la raccolta in comune delle evidenze da utilizzare per certificazioni separate in ogni Paese partecipante, o il riconoscimento bilaterale tra due singole MAwA, erano solo un palliativo. Nel 2007 l’industria chiese dunque alla neonata European defence agency (Eda) la semplificazione dei processi di certificazione. Il primo passo fu la creazione di un Military airworthiness authorities forum (MAwA), incaricato di elaborare le European military airworthiness regulations (Emar) per quanto possibile ispirate a quanto già avveniva in ambito civile, al punto da utilizzare le stesse sigle. Il regolamento per la certificazione dei velivoli militari (nonché prodotti, parti e appliance collegati) e delle organizzazioni di progettazione e produzione collegate ricalca dunque la Parte 21 Easa (ovviamente con contenuti specifici militari) e si chiama perciò Emar 21, così come quello sulle organizzazioni di manutenzione ricalca la Parte 145 e si chiama Emar 145. Nonostante l’importante passo avanti, la comunanza normativa trovava un limite preciso nella mancanza di riconoscimento automatico da parte di una MAwA di quanto fatto da un’altra, sia pure in base alle stessa normativa e utilizzando le stesse procedure.
Di qui l’importanza della mutual recognition quanto più ampia possibile. Tra le MAwA europee, la Daaa italiana è tra le più convinte sostenitrici del passaggio dalle normative nazionali alle Emar e, soprattutto, della mutual recognition. Per il progetto del futuro addestratore M345, per esempio, la Daaa ha chiesto all’industria di applicare la Emar 21 (introdotta nelle normative nazionali come Aer.P-21) al posto della normativa “tradizionale” nazionale Aer-P.2, così come ha ottenuto la trasformazione del riconoscimento unilaterale delle certificazioni americane, reso necessario in larga parte dal programma F-35, in una mutual recognition. Il riconoscimento è passato per un lungo audit delle procedure di Armaereo da parte di un team statunitense, seguito da un lavoro analogo in senso inverso. In parallelo è iniziata la certificazione delle ditte di manutenzione secondo la Emar 145 (introdotta nelle normative nazionali come Aer.P-145), utilizzando società di certificazione approvate da Armaereo. Di qui alla proposta italiana, condivisa dalla Germania, di una mutual recognition europea – al posto del riconoscimento collettivo della propria certificazione inizialmente proposto dalla Francia – il salto concettuale è stato breve. Il processo è lungi dall’essere completato: il “Le Bourget Momentum”, come è stato battezzato il documento del 21 giugno, non è un documento immediatamente applicabile, ma l’impegno a procedere verso un traguardo comune. Ma poiché l’approdo è di grande importanza, anche per evitare lo spreco di risorse in un settore sempre più popolato da programmi multinazionali, la direzione sembra quella giusta.