Gli Emirati Arabi Uniti (Eau) e, più recentemente, il Qatar stanno sviluppando delle iniziative spaziali di buon livello tecnologico e con ingenti capacità di investimento. Per la verità, già dal 1976, 21 Paesi della Lega araba costituirono l’operatore di comunicazioni via satellite Arabsat, basato a Ryhad, che si è via via sviluppato sino a diventare una importante realtà mondiale. Negli anni 90 la liberalizzazione diede alle singoli nazioni arabe l’opportunità di crescere nel settore spaziale. Pioniere fu l’Egitto con NileSat; oggi operano a Dubai, Abu Dhabi e Doha tre società commerciali private di telecomunicazioni satellitari. Non c’è, però, solo l’aspetto commerciale: nel 2006, gli Eau istituirono a Dubai l’Emirates institution for advanced science and technology (Eiast), un ente governativo per promuovere l’innovazione scientifica, con un forte accento sulla tecnologia spaziale. Il gemellaggio con prestigiose università americane – quali Stanford e Mit – o con l’Accademia delle Scienze di Mosca, è stato alla base di un ampio progetto che facesse degli Eau un hub internazionale per la tecnologia spaziale. I risultati non si sono fatti attendere: i satelliti di telerilevamento DubaiSat 1 e 2 – sviluppati da Eiast in cooperazione con la Corea del Sud – sono stati lanciati nel 2009 e nel 2013 da missili russi, mentre il DubaiSat 3, il primo interamente realizzato negli Emirati, sarà lanciato nel 2017. Nei primi mesi del 2015 è stato compiuto il passo successivo: lo sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktoum, governatore di Dubai e vice presidente degli Eau, ha annunciato la creazione di una nuova agenzia spaziale per massimizzare il contributo delle industrie spaziali per l’economia nazionale e per realizzare l’ambizioso obiettivo di inviare una sonda su Marte entro il 2021. Il progetto Hope – Speranza, così si chiama la sonda marziana – dovrebbe lanciare un orbiter verso Marte giusto in tempo per celebrare il 50esimo anniversario dell’indipendenza degli Emirati dal Regno Unito.
Una volta raggiunto il pianeta rosso, Hope dovrebbe raccogliere dati Spazio sull’atmosfera e sulla superficie da inviare poi al centro di controllo di Dubai. Ovviamente, la missione su Marte e la nuova agenzia spaziale hanno lo scopo di contribuire a diversificare l’economia degli Eau anche con industrie hi-tech, affrancandoli dalla pur dorata dipendenza dal petrolio e dal gas. Sarebbe però poco lungimirante considerare solo questa motivazione. È possibile che la scelta di sviluppare tecnologie spaziali per questa missione, a elevato impatto tecnologico e mediatico, abbia radici più profonde nella dinamica geopolitica della regione orientale e di quella asiatica più in generale. Peraltro sarebbe un errore sottostimare le ambizioni spaziali degli Eau, data la loro attuale relativa inesperienza nelle tecnologie spaziali: i Paesi del Golfo hanno speso più di 5 miliardi di dollari per la loro nascente industria del settore negli ultimi dieci anni e di certo in futuro non mancheranno i finanziamenti, una volta definito l’ambizioso obbiettivo. La missione Hope sarebbe un deciso salto tecnologico, che eleverebbe gli Eau a un ruolo più prominente sulla scena globale, e soprattutto asiatica, sancendone l’appartenenza al ristretto gruppo di Paesi con capacità di esplorazione interplanetaria, cioè Stati Uniti, Russia, Unione Europea, Giappone, India e Cina. Un club dove le potenze asiatiche hanno raggiunto notevoli risultati. Il Giappone raggiunse Marte già nel 2008, anche se in quell’occasione la sonda Nozomi non funzionò correttamente; in seguito sia la sonda Selene sulla Luna sia la Hayabusa sull’asteroide Itokawa furono due grandi successi. L’India addirittura è riuscita nel 2014 al primo tentativo, dove altri hanno quasi sempre fallito, a mettere in orbita marziana la sonda Mangalyaan, costata circa 75 milioni di dollari. Un risultato considerevole, se si pensa che la sonda Maven della Nasa, arrivata poco dopo su Marte, è costata 700 milioni di dollari e il programma europeo ExoMars, che partirà nel 2016, oltre un miliardo di euro.
Infine c’è la Cina che, oltre a disporre già di capacità di lancio di astronauti in orbita terrestre, sta sviluppando per il 2020 una stazione spaziale e programma l’invio di un rover e di un orbiter su Marte, per arrivare poi nel 2030 a un sample return di terreno marziano sulla Terra. Ecco che nella nuova geopolitica dello spazio anche gli Eau vogliono dire la loro e hanno scelto il pianeta rosso. Ma perché Marte sembra essere il bersaglio-chiave di quei Paesi che cercano di aprire nuove strade per l’esplorazione dello spazio? Quella che segue è una estrema sintesi: l’esplorazione di Marte è un’attività a elevata visibilità mediatica e a forte carica emotiva, genera entusiasmo e modelli di ispirazione tra i giovani, spesso comporta un alto livello di cooperazione internazionale, fornisce reali vantaggi scientifici a fronte di una quota relativamente modesta dei vari bilanci spaziali e, soprattutto, ha un valore politico, industriale e strategico. Le nazioni utilizzano le attività spaziali per acquisire prestigio, vantaggi politici, commerciali, scientifici e militari: lo sviluppo e il lancio di una sonda interplanetaria racchiude in sé un mirabile connubio di tutte queste istanze, fornendo al Paese che la realizza competenze scientifiche e tecnologie in grado di essere utilizzate anche in altri settori, commerciali o di sicurezza e difesa. Questa esigenza è oggi sentita anche negli Eau.
Dal mare Arabico al Pacifico, varie nazioni sentono il bisogno di rispondere alla crescente espansione economica, tecnologica e militare della Cina e si assiste a un aumento degli armamenti nella regione dell’Asia-Pacifico, con una progressione tale che non si vedeva dai tempi della Guerra fredda tra l’America e l’Unione Sovietica. E così come la Moon Race fu negli anni 60 conseguenza diretta del confronto Usa-Urss, la Corsa su Marte può essere un elemento caratterizzante dell’attuale ciclo politico ed economico che si sta sviluppando nella regione Asia-Pacifico, tra la Cina e le altre vivaci economie asiatiche. Anche se impressionante, la crescita militare della Cina non implica necessariamente che in Asia si stia andando verso una riedizione della Guerra fredda; le sfide economiche a breve termine della Cina e la possibilità di riforme politiche liberali potrebbero, anzi, portare a opportunità di grandi alleanze proprio nell’esplorazione dello spazio. Si tratta di uno scenario che, soprattutto in Europa, andrebbe analizzato con la dovuta attenzione.