Il settore dell’aerospazio, sicurezza e difesa è uno dei pochi a elevato contenuto tecnologico in cui l’Italia ha mantenuto una rilevante posizione. Per ragioni diverse, ma riconducibili all’incapacità di elaborare e perseguire una strategia industriale di ampio respiro, il nostro Paese ha via via abbandonato i settori in cui era riuscito a entrare, come elettronica, telecomunicazioni, farmaceutica, chimica e nucleare. L’aerospazio, sicurezza e difesa è un settore di dimensioni limitate (circa l’1,5% della produzione) ma fortemente innovativo, con il 12,8% delle attività di ricerca e sviluppo. Contro una media nazionale del 16,2%, la parte ad alta e medio-alta intensità tecnologica copre il 58,2%. Peraltro, non tutte le aree sono state adeguatamente presidiate e, quindi, si stanno perdendo posizioni e capacità, come nella missilistica e nei satelliti. In altre non abbiamo mai raggiunto adeguate posizioni, come nei carri da battaglia o nei sottomarini. Ma, nel complesso, l’Italia è oggi un importante produttore a livello internazionale.
Se si guarda alla storia delle imprese che vi operano e dei loro prodotti, si può rilevare che, in realtà, questo risultato è stato raggiunto grazie alla visione, ambizione e determinazione di alcuni imprenditori – privati e pubblici – alti ufficiali e dirigenti civili, con l’appoggio saltuario di qualche illuminato uomo di governo. Anche qui, quindi, non si è pianificato consapevolmente il futuro, ma, per lo meno e per fortuna, si è lasciato spazio alle singole iniziative. Fra le poche serie iniziative volte ad indicare e guidare il settore, la prima e più importante è stata la Legge 808 che, a partire dal 1985, ha sostenuto la ricerca tecnologica prima in campo aeronautico e poi in quello elettronico. È interessante ricordare che la legge si proponeva soprattutto due obiettivi: rafforzare le attività civili per riequilibrare il rapporto con quelle militari e aumentare il grado di internazionalizzazione dell’industria italiana. Introduceva, inoltre, un meccanismo innovativo di finanziamento, basato sull’esperienza francese, che prevedeva il rimborso al raggiungimento di adeguati risultati di mercato. In questi trent’anni è stata il principale motore dell’innovazione tecnologica, consentendo di raggiungere, in alcuni casi, posizioni d’avanguardia nel mercato internazionale.
In questi ultimi anni è emersa qualche criticità che dovrebbe spingere a un adeguamento al nuovo scenario e alle nuove esigenze, ma che non sminuisce il suo ruolo di best practice nel panorama della nostra politica industriale. Innanzitutto è sembrata venire meno, in alcune circostanze, la volontà di assicurare adeguate risorse finanziarie con continuità. La stabilità e la programmabilità dei finanziamenti sono un indispensabile fattore di successo, anche per il carattere pluriennale di ogni significativa iniziativa. Non ha senso partire con un progetto senza poter essere sicuri che potrà essere portato a termine e se i risultati ne confermeranno la validità. Di qui la necessità della massima attenzione nell’assicurare la regolarità del rifinanziamento della Legge 808.
In secondo luogo, andrebbe limitato il numero dei progetti finanziati. Nel nuovo scenario tecnologico e industriale, si dovrebbero considerare più attentamente le effettive possibilità di sviluppo, così come le ricadute trasversali e le caratteristiche duali, premiando il rafforzamento delle nostre aree di eccellenza tecnologica più che cercare di tutelare le aree di debolezza, a meno che non ne venga individuato il carattere strategico. Ma, in questo caso, bisogna poi essere conseguenti, assicurando un’adeguata domanda interna e un prioritario sostegno alla ricerca di sbocchi sul mercato internazionale. In terzo luogo, devono essere efficientate le procedure e le capacità di valutazione dei progetti. Basti osservare che quelli presentati nel 2013/2014 saranno probabilmente approvati questo mese e che il loro effettivo finanziamento potrà, forse, essere definito entro fine anno. Questo significa che le imprese, non potendo aspettare, hanno dovuto operare al buio, con tutti i costi e le incertezze che questo comporta. È tanto più grave quando questo riguarda i progetti nel campo della sicurezza e della difesa dove all’esigenza di innovazione si somma quella di assicurare lo sviluppo delle capacità tecnologiche connesse alla protezione del nostro Paese.