, In Evidenza

All’inizio della mia carriera diplomatica, l’obiettivo di spesa militare di cui si dibatteva era il 3% del Pil, non il 2%. In quei giorni gli Stati Uniti guardavano all’idea, allora emergente, di una sicurezza comune europea come ad un errore, capace di distrarre dal compito fondamentale di sostenere lo sforzo comune dell’Alleanza atlantica. È molto importante notare e sottolineare che in questo campo è avvenuto un cambiamento epocale. Va infatti riconosciuto e apprezzato il fatto che oggi gli Stati Uniti sostengono e favoriscono lo sforzo militare comune dell’Unione europea. Ciò mi porta a dire che invece di continuare un dibattito in fondo piuttosto sterile su chi riuscirà a raggiungere l’obiettivo del 2%, i membri della Nato appartenenti all’Unione europea dovrebbero fare passi decisivi nella direzione di un esercito europeo. Non è qualcosa che accadrà a breve. C’è bisogno di una preparazione attenta, del coinvolgimento dei nostri Parlamenti, di tempo. Ci vorrà probabilmente una generazione, ma è quel tipo di iniziative che, una volta avviato, finirà con l’essere compreso perfino dal Cremlino, e come segnale di forza e non di debolezza.
Inoltre la Nato è il più grande agente di contro-proliferazione della storia. Senza la Nato nel secolo scorso dubito che la Germania sarebbe stata trattenuta dall’acquisire testate nucleari, e credo che lo stesso sarebbe accaduto con la Turchia. In altri termini, l’unica ragione per cui nell’intero teatro europeo non si è verificata una corsa agli armamenti nucleari è stata l’esistenza della Nato. È qualcosa che andrebbe ribadita anche alle nostre opinioni pubbliche, che spesso non capiscono che la Nato non si riduce all’Afghanistan. Ecco perché sono stanco di sentire ancora oggi nel mio Paese tanti chiedersi se abbiamo ancora bisogno dell’Alleanza una volta che la missione in Afghanistan sarà finita.
Un secondo punto è che dobbiamo cercare un giusto rapporto con la Russia.
Anche se le cose sembrano più complesse di 5 o 6 anni fa, è ancora importante un aggiustamento con Mosca. Credo che il nostro approccio nella prima metà degli anni Novanta non sia stato sbagliato. Ricordo che quando discutevamo per la prima volta di allargamento della Nato Helmut Kohl diceva: “Va bene, ma fatemi prima parlare con Boris Eltsin”. La sua idea era di trovare un punto di accordo con Mosca, una sistemazione che i russi potessero non dico favorire ma quanto meno accettare. Da quelle discussioni vennero fuori idee che furono applicate con successo ai vertici del 1996 e 1997, secondo un approccio a due pilastri: da una parte avviare l’allargamento e dall’altra, contemporaneamente, costruire una relazione sempre più stretta e concreta tra Russia e Nato. All’inizio credo che quell’idea fosse giusta, e se non è andata come volevamo credo non sia colpa nostra (principalmente, la responsabilità è russa) ma ciononostante dobbiamo provare ancora e ancora. E lasciare la porta aperta.
Che ci piaccia o no la Russia sarà ancora Paese di confine con un gran numero di Stati membri dell’Unione europea. Per questo mi auguro che possa essere, in futuro, non un avversario ma un importante partner. Certo, al momento purtroppo non è un partner con cui si può credibilmente discutere.