Il problema dell’Italia con l’interesse nazionale

Di Stilicone

Purtroppo non è nuovo: risale addirittura agli albori della sua costituzione. È un problema di natura squisitamente geopolitica, ma che ha un impatto profondo sulla natura e la portata delle nostre politiche e che produce effetti profondi anche sulle decisioni giornaliere.
L’Italia, infatti, è sempre stata ed è “troppo piccola” per essere influente nel concerto delle grandi potenze europee e “troppo grande” per poter essere facilmente inserita nello schema delle relazioni europee in un ruolo subordinato.
Intendiamoci: “piccola” e “grande” non fanno riferimento alla sua dimensione geografica o demografica, quanto piuttosto a quella dei fattori geopolitici di potenza che la contraddistinguono. La dimensione complessiva della sua forza diplomatica, economica e militare le impedisce di venire retrocessa a ruolo di “buon secondo”, ma non le consente neanche di emergere quale attore stabile del gruppo di testa.
Tale condizione oggettiva potrebbe portare a diverse politiche d’azione sul piano internazionale ed europeo, alcune tutt’altro che sconvenienti o improduttive per gli interessi nazionali. Quelle perseguite per tradizione, purtroppo, vedono momenti di “velleitarismo attivo” alternati ad altri di “mendicante di status” e di “auto-commiserazione da esclusione”. Nessuna di queste modalità di azione, ovviamente, fa riferimento al perseguimento di un qualsivoglia interesse nazionale, che dovrebbe essere invece il faro di guida delle nostre scelte politiche e strategiche.
Allorquando le potenza europee di prima fila si sono astenute dall’esercitare il loro ruolo, sia per ragioni interne (crisi politiche o economiche), sia per situazione storica (fine ottocento, anni 20-30, guerra fredda, prima fase post-guerra fredda) è prevalso lo spirito del velleitarismo italico, caratterizzato da presunzione di essere “potenza”, ovvero di poter giocare un ruolo di primo piano al pari degli altri attori principali.
Tollerati nel concerto delle grandi nazioni (a volte addirittura creduti), in questa fase abbiamo alternato roboanti dichiarazioni sul nostro presunto “ruolo” a un iperattivismo internazionale fatto di uno stillicidio di conferenze, vertici, incontri e azioni militari, il tutto per “esserci nel gruppo che conta”. Tale azione è stata sovente accompagnata da panico da esclusione allorquando non si veniva accolti in alcuni formati internazionali da noi ritenuti simbolo di status.
Raramente, purtroppo, tale frenesia d’azione serviva gli interessi reali del Paese. Più spesso, compiaceva esclusivamente l’ego di alcune carriere o la attitudine tutta italiana che “esserci” è meglio che “essere”.
Quando invece la storia si è messa in moto e i Paesi meglio attrezzati hanno deciso di agire con determinazione, rivendicando appieno il loro diritto di perseguire i loro legittimi interessi nazionali, allora l’Italia ha mostrato la sua incapacità di giocare nel “girone di testa”. In queste fasi, la reazione nazionale è stata sovente quella di recriminare una presunta ingiusta esclusione, cosparsa da auto-commiserazione e da percezione di tradimento, piuttosto che cercare di perseguire i nostri interessi nazionali e adattare, con sano pragmatismo, i nostri comportamenti alla realtà dei fatti.
Oggi ci troviamo esattamente in uno di questi periodi. La situazione internazionale, infatti, delinea il passaggio dalla prima fase post-guerra fredda, tutto sommato di transizione, a una seconda fase caratterizzata dalla ripresa delle dinamiche di relazione tra gli Stati, basate sulla realtà delle situazioni oggettive di ogni singolo Paese. Elemento cardine di tali dinamiche è l’utilizzo da parte degli attori in campo degli esistenti “elementi di potenza” (effettivi o potenziali) per il perseguimento dei legittimi interessi nazionali.
Il gioco sta cambiando e le regole sono fissate: inutile pensare di utilizzare le medesime regole del passato o di proporre un nuovo gioco. È doveroso che l’Italia prenda atto del mutamento della situazione e avvii una riflessione interna che, avulsa dagli errori di percezione e dai velleitarismi del passato, sia di una certa utilità nazionale. Sia in grado, cioè, di fornire quegli elementi di analisi e di sintesi che sono necessari per identificare le esigenze, gli interessi e gli obiettivi nazionali, l’insieme dei fattori che possono condizionare le possibili scelte, le possibili linee d’azione percorribili e, infine, i possibili ruoli, anche ambiziosi ma realistici e raggiungibili, rivestibili dal nostro Paese nell’ambito dell’attuale e del futuro Sistema internazionale.
Concretamente, per gli aspetti di sicurezza e difesa, i temi da affrontare con certa urgenza riguardano: gli obiettivi e le priorità di azione della nostra diplomazia, gli impegni internazionali delle Forze armate, ma soprattutto il ruolo dell’Italia nel percorso per la costruzione di una dimensione europea della difesa.
Riguardo quest’ultimo tema, le scelte che saranno fatte non si limiteranno esclusivamente a definire l’architettura di una futura difesa europea e le regole per parteciparvi, ma determineranno soprattutto chi saranno i giocatori principali, sia da un punto di vista delle capacità di azione, sia del complesso tecnologico e industriale che le dovrà sostenere.
Questa è l’occasione per interrogarsi sul ruolo che il Paese intende rivestire in ambito europeo e internazionale e per delineare le migliori linee di azione verso gli obiettivi individuati. Perderla vorrebbe dire, ancora una volta, finire coll’accodarsi alle scelte di altri e pagarne poi le gravi conseguenze.
Un’unica proposta: partiamo dagli interessi nazionali.

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