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Mentre gli Stati Uniti si fermano per il confronto tra Trump e la Clinton, Putin guadagna ancora terreno, e non solo in Medio Oriente ma anche in campo energetico. Il World Energy Congress, in questi giorni di scena a Istanbul, ha offerto l’occasione per il definitivo riavvicinamento tra Turchia e Russia. Dopo la visita del 9 agosto da parte del presidente della repubblica turca Recep Tayyip Erdogan a San Pietroburgo, i due leader tornano a stringersi la mano. E se ad agosto si era definitivamente superata la crisi diplomatica generata dall’abbattimento del Su-24 russo e dalle differenti prospettive in Siria e Caucaso meridionale, ieri a Istanbul è stata sancita una vera e propria intesa. Al centro del colloquio la Siria, la cooperazione economica, la centrale nucleare di Akkuyu e il Turkish Stream, l’imponente pipeline che permetterà al gas russo una valida alternativa al critico passaggio ucraino.

L’intesa può considerarsi la vittoria della realpolitik, dell’opportunismo strategico di due Paesi che hanno visto convergere alcuni interessi nonostante posizioni apparentemente inconciliabili fino a pochi mesi fa. Certamente restano alcuni punti su cui sarà difficile trovare un accordo, su tutti la sopravvivenza del regime di Bashar al-Assad. Intanto però “i nostri rapporti andranno avanti, coprendo molte aree differenti: difesa, industria, economia, commercio e tutte le aree della cooperazione bilaterale”, ha affermato Erdogan. “Siamo d’accordo a proseguire negli sforzi necessari a completare la normalizzazione delle relazioni bilaterali”, ha aggiunto Putin.

L’asse Ankara-Mosca non sembra poi così sorprendente data l’evoluzione degli scenari internazionali in seguito al tentato golpe in Turchia dello scorso 15 luglio. Eppure tra i due Paesi la rivalità è storica e dura da diversi secoli, per lo più legata all’interesse strategico che entrambi hanno avuto per le stesse zone, Balcani e Caucaso su tutte. Da questa prospettiva più ampia, il riavvicinamento tra Putin e Erdogan potrebbe rappresentare una vera e propria svolta nello scacchiere geopolitico mondiale e mediorientale in particolare. In realtà, come ha ricordato il generale Vincenzo Camporini, vice presidente dell’Istituto affari internazionali e già Capo di stato maggiore della Difesa, Putin ed Erdogan stanno utilizzando l’un l’altro in maniera tattica per interessi che non sono poi così convergenti. “Non si tratta di una convergenza di interessi ma piuttosto di una convergenza di situazioni che non potrà che portare a un successivo distacco”, ha scritto Camporini sulle pagine di Airpress di settembre.

Per Erdogan, l’alleanza con la Russia certifica un certa insofferenza rispetto alle posizioni dell’Alleanza atlantica e dell’Europa, soprattutto dopo le copiose critiche piovute da Occidente per la gestione del repulisti post-golpe. Inoltre, la legittimazione del ruolo nella regione da parte di Mosca permette di approdare in maniera definitiva a quel neo-ottomanesimo che tanto piace a Erdogan. L’assenso di Putin all’operazione Scudo dell’Eufrate vorrebbe dire incassare definitivamente il supporto al vero prioritario interesse del governo turco: azzerare ogni velleità curda di indipendenza o autonomia.

Per Putin, l’asse con Erdogan risolve numerosi problemi. Prima di tutto permette di allontanare dalla sfera di influenza statunitense un importante attore regionale. Certo sarà difficile che Erdogan rinunci all’Alleanza atlantica, e non è detto che una Turchia più autonoma significhi necessariamente una Turchia asservita a Mosca. In ogni caso, un’eventuale accordo sulla spinosa questione siriana, e soprattutto sulla sopravvivenza di Assad nel processo di riconciliazione nazionale, è per Putin un bilanciamento importante alle critiche che giungono da Occidente e al logoramento dell’accordo sul cessate-il-fuoco.

C’è poi il discorso economico ed energetico. Prima di tutto, i due leader hanno definito un accordo per l’accesso di prodotti agricoli turchi nel mercato russo, importante per l’export di Ankara ma anche per l’import di Mosca colpito negli ultimi anni dalle sanzioni che hanno seguito l’annessione della Crimea. Il vero nodo di questa nuova intesa è però legato alla cooperazione energetica. In realtà essa non era venuta meno anche nei momenti più bui dei rapporti tra Ankara e Mosca, soprattutto perché la Turchia copre solo l’1% del proprio fabbisogno energetico e fa abbondante affidamento ai rifornimenti provenienti dalla Russia (nel 2014 coprivano il 55%). Con l’incontro di ieri riparte però l’intesa sul Turkish Stream, su cui l’abbattimento del Su-24 aveva effettivamente influito interrompendo il dialogo. Per la Russia il progetto permetterebbe di trovare una via alternativa verso ovest alla distribuzione del proprio gas, evitando l’ostacolo ucraino e completando la rete con il Nord Stream. Per la Turchia vorrebbe dire confermare la rilevanza strategica agli occhi della Russia e garantirsi rifornimenti importanti. Se Putin ed Erdogan riusciranno a trovare un accordo anche sulla Siria, ponendo fine a una catastrofe umanitaria imponente, gli Stati Uniti non avranno più carte da giocare per limitarne l’influenza di entrambi sulla futura definizione degli equilibri nella regione.