I rapporti Usa-Russia sulla crisi siriana

Di Marco Orioles

La prima visita di un esponente dell’amministrazione Trump a Mosca si è trasformata, come nelle aspettative, in un confronto apicale e serrato sul fronte rovente della Siria. A sorpresa, il segretario di Stato Tillerson ha visto, oltre al collega Lavrov, il presidente Putin, con il quale si è intrattenuto per oltre due ore.

I colloqui hanno evidenziato, com’era prevedibile, le differenti posizioni di Stati Uniti e Russia sul futuro del presidente siriano Assad. Alla vigilia del suo viaggio, Tillerson aveva trasmesso al Cremlino un messaggio ben poco sibillino: “O state con noi, o con Assad”. Pur concordando sulla necessità di una soluzione politica alla guerra civile in Siria, Putin e Lavrov non hanno fatto arretramenti, enfatizzando semmai la natura illegale del raid con cui gli americani hanno punito Assad per il bombardamento chimico di Khan Shaykoun. Sfoderando la sua carta propagandistica preferita, Putin ha ricordato la menzogna delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein e gli esiti nefasti dei regime change promossi dagli Usa in Libia ed Iraq, a sottolineare che nulla del genere potrà verificarsi in Siria.

Tillerson ha ribadito che gli Stati Uniti hanno prove inconfutabili della responsabilità del regime siriano circa l’uso di armi proibite contro i civili, avvenuto in almeno cinquanta occasioni. I russi dal canto loro hanno insistito sulla necessità di un’indagine indipendente, condotta preferibilmente dall’Agenzia Onu per la proibizione delle armi chimiche. Una proposta discutibile, per l’America, considerato che quell’organismo si è già fatto beffare una volta da Assad quando questi, nel 2014, consegnò nelle mani degli ispettori internazionali il suo arsenale di armi di distruzione di massa, evidentemente in modo parziale.

A conferma della difficoltà a collaborare su questo fronte, poche ore dopo i colloqui di Tillerson con Putin e Lavrov, Mosca poneva il veto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu su una risoluzione redatta da Usa, Gran Bretagna e Francia che condannava Assad e chiedeva un’indagine approfondita sui fatti di Khan Shaykoun. Una risoluzione su cui si è registrata la significativa astensione della Cina, che segnala la volontà di Pechino di assecondare l’iniziativa di Washington sul dossier siriano.

Al di là delle divergenze palesate in pubblico, il pressing degli Stati Uniti sulla Russia potrebbe, alla fine, sortire degli effetti, a partire dal fronte diplomatico. Sebbene Mosca non abbia motivo per cambiare posizione su Assad – si tratta, secondo il Cremlino, dell’unica garanzia contro la minaccia jihadista – è evidente che, a lungo andare, nemmeno i russi potranno sostenere apertamente colui che nel 2014 ha ingannato la comunità internazionale (e gli stessi russi) e mira a una vittoria totale sugli avversari a scapito della stabilità del paese e dell’intero Medio Oriente.

Sempre ieri, Trump ha definito Assad un “animale” e una “persona diabolica”, che non può rimanere al suo posto. Tillerson si è fatto latore della proposta americana di un’uscita di scena concordata di Assad, da realizzarsi nel quadro del negoziato di Ginevra sponsorizzato dall’Onu. Nei giorni scorsi, sotto la pressione dell’opinione pubblica mondiale indignata per i bambini gasati dal presidente siriano, la Russia aveva fatto capire che il proprio appoggio ad Assad non fosse “incondizionato”. Un varco che gli Stati Uniti vogliono esplorare per capire come attirare Mosca verso le posizioni occidentali, compattatesi al summit dei ministri degli esteri del G7 tenutosi a Lucca lunedì scorso.

Il fatto stesso che Putin abbia voluto incontrare Tillerson evidenzia che ci sono margini di collaborazione, o quanto meno che il capo del Cremlino è interessato a capire che cosa possa ottenere in cambio. Vladimir Vladimirovic potrebbe non resistere a una proposta americana di un “grand bargain” che, oltre a una soluzione concordata della crisi siriana, comprenda un’intesa sui vari fronti che dividono i due Paesi. Non è ammissibile che “le due principali potenze nucleari abbiano relazioni così deteriorate”, ha sottolineato Tillerson in conferenza stampa ieri. Parole cui si sono aggiunte quelle di Trump, che ha parlato di un rapporto bilaterale “al livello più basso” degli ultimi tempi, in un palese auspicio di una ritessitura. Questo, d’altronde, è quanto il tycoon in campagna elettorale ha più volte lasciato intendere di voler perseguire: trovare una sintonia con l’orso russo e collaborare sui dossier più delicati in cui c’è convergenza di interessi, a partire dalla lotta al terrorismo. Al di là delle parole di circostanza sfoderate in occasione della visita di Tillerson, Mosca potrebbe alla lunga farsi sedurre. E abbandonare Assad al suo destino.

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