Ripulire lo spazio dai detriti: la soluzione è multilaterale

Di Francesco Pesce

Cinquant’anni di attività spaziale hanno posizionato in orbita oltre 6mila satelliti, ma solo uno su sei è ancora operativo. I corpi degli altri cinque affollano le orbite terrestri, minacciando di rendere inutilizzabile l’ambiente spaziale extratmosferico: sono i “detriti spaziali”, oggetti non funzionanti, incontrollati e incontrollabili. L’attività umana, insomma, è riuscita a trasformare anche il cosmo in una discarica. Un problema davvero grosso, dal momento che i detriti possono interferire con altri oggetti o creare difficoltà al lancio di satelliti. Di fronte all’incertezza del regime giuridico che regola questa materia, gli Stati sono chiamati a cooperare a livello internazionale per mitigare e ridurre questo fenomeno. Questo è vero in particolare per gli Stati membri dell’Unione europea la quale, controllando circa il 20% dei satelliti attivi, ha un grosso interesse nella praticabilità delle orbite terrestri.
Proprio di questo fenomeno ha discusso la conferenza “Space law and debris responsibility”, tenutasi venerdì presso l’Università La Sapienza di Roma con la partecipazione di Marco Ferrazzani, consigliere legale dell’Esa, e del professor Sergio Marchisio, ordinario di Diritto internazionale, insieme a Nicolas Peter della Commissione europea, a Luca Magliozzi, Ceo di Telespazio, e a Simonetta di Pippo, direttore dell’Ufficio Onu per lo spazio.
“All’Agenzia spaziale europea abbiamo un ufficio che monitora circa 40mila oggetti nello spazio, meticolosamente catalogati” ha spiegato Marco Ferrazzani, capo del Dipartimento servizi legali dell’Esa. “In più, è allo studio ‘Cleanspace’, un programma che permetterà di ripulire le orbite recuperando i detriti in modo sicuro. I problemi principali sono due: da un lato, vi è un interesse economico a non recuperare i satelliti, dato che il rientro degli stessi può richiedere fino al 10% della loro energia; dall’altro, gli Stati non seguono le stesse regole, in quanto le norme internazionali che regolano questo settore spesso non sono vincolanti”.
Riguardo alla regolamentazione giuridica dei detriti spaziali, il professor Marchisio ha le idee chiare: “I quattro principali trattati sul cosmo elaborati in seno all’Onu (Trattato sullo spazio del 1967, Convenzione sulla responsabilità internazionale per danni da oggetti spaziali del 1972, Convenzione sull’immatricolazione di oggetti spaziali del 1975, Trattato sulla Luna del 1979) sono tutti applicabili a questa materia, è sufficiente interpretarli con il criterio del massimo effetto utile. La difficoltà sorge piuttosto dallo scarso numero di ratifiche, che ha impedito ad alcuni di essi di entrare in vigore”.
I problemi legali sono numerosi. “Ad esempio: i detriti si possono considerare ancora oggetti con un proprietario, oppure no? Le poche dispute internazionali emerse finora in merito ai detriti spaziali depongono a favore della prima conclusione” ricorda il professore. “Quando fine frammenti di satelliti radioattivi sovietici caddero in territorio canadese, il governo di Ottawa basò i suoi reclami tanto sulla Convenzione sulla responsabilità quanto sulla violazione di sovranità sancita dal diritto internazionale generale. La faccenda venne risolta con una compensazione monetaria decisa bilateralmente, tuttavia l’Urss non questionò mai la natura di oggetti spaziali dei detriti.”
Anche la rimozione dei detriti dallo spazio, tuttavia, è più facile a dirsi che a farsi: nello specifico, chi è autorizzato a procedere? Serve il consenso dello Stato di lancio oppure chiunque può provvedere, analogamente al recupero dei relitti secondo il diritto del mare? “Molti Stati stanno acquisendo consapevolezza del problema – nota Marchisio – e sono in corso di adozione linee guida e norme tecniche per limitare la produzione di detriti. Queste norme sono spesso elaborate con la collaborazione di agenzie spaziali e istituti specializzati, ma per essere vincolanti dovrebbero essere recepite nelle legislazioni nazionali. Oppure si può pensare di sanzionare la produzione di detriti, ad esempio non rinnovando l’autorizzazione al lancio di nuovi satelliti”.
In questo quadro giuridico in evoluzione, come si sta muovendo l’Unione europea? “L’Europa ha generato il 4% dei detriti spaziali attualmente in orbita a fronte del 30% degli Usa, e del 63% di Russia e Cina insieme” ha specificato Nicolas Peter, della Dg della Commissione europea che si occupa di mercato interno, industria e imprenditoria. “Tuttavia l’Unione controlla il 19% dei satelliti attivi, ed è quindi più che mai esposta alle collisioni orbitali. Proprio per questo, il programma Horizon 2020 ha lanciato due progetti di sviluppo di tecnologie per detriti spaziali, finanziati con 6 milioni di euro, e altri tre per l’istituzione di un sistema Sst (Space surveillance and tracking) finanziati con 11 milioni, un budget in crescita rispetto agli anni scorsi”. Coerentemente, una recente decisione delle Istituzioni europee ha previsto la creazione di un servizio comune Sst basato sul network dei diversi Sst già realizzati dai singoli Stati membri attraverso radar e telescopi nazionali. “Quest’anno Italia, Germania, Francia, Spagna e Gran Bretagna sono state selezionate per partecipare, mentre Austria, Portogallo e Polonia hanno mostrato interesse in merito” ha comunicato Peter.
Si è detto d’accordo sull’importanza di un sistema Sst per Bruxelles anche Lucio Magliozzi, chief operating officer di Telespazio, che lo considera “essenziale per proteggere le nostre numerose apparecchiature spaziali e per ridurre la dipendenza dell’Unione dalle informazioni sui detriti spaziali fornite da Washington”.
Anche le Nazioni Unite contribuiscono alla formulazione di una risposta al fenomeno dei detriti spaziali. “L’Onu sta lavorando sulla proposta di istituire una piattaforma per la condivisione di dati e informazioni sui detriti e ha promosso un gruppo di lavoro sulla sostenibilità di lungo periodo delle attività spaziali” ha dichiarato Simonetta di Pippo, direttore dell’Ufficio Onu per lo spazio (Unoosa). L’astrofisica ha ricordato inoltre UniSpace+50, l’appuntamento che si terrà a Vienna nel 2018, quando tutti gli Stati si riuniranno per valutare le ultime cinque decadi di attività nel cosmo e guardare al futuro.

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