L’Italia, per motivi politici, per amore della polemica, per connivenze con interessi stranieri, per semplice sfiducia nelle capacità nazionali, rischia di rimanere azzoppata anche in questa “competizione partenariale”. Sarà proprio la sfida spaziale il tema dell’evento “Lo spazio vitale per l’Italia” organizzato dalla rivista Airpress che avrà luogo venerdì 9 maggio alle ore 16.15 presso il Tempio di Adriano, in piazza di Pietra a Roma e vedrà la partecipazione dei più rilevanti protagonisti delle istituzioni e delle imprese. In particolare, prima delle conclusioni del Ministro Stefania Giannini e moderati dall’editore della rivista Airpress Paolo Messa, interverranno la giornalista Maria Latella, il presidente e amministratore delegato di Thales Alenia Space Italia, Elisio Prette, l’amministratore delegato di Telespazio, Luigi Pasquali, la direttrice dell’agenzia Unoosa delle Nazioni Unite, Simonetta Di Pippo, ed il commissario dell’Asi, Aldo Sandulli.
Un astronauta ambasciatore del semestre di presidenza italiana del Consiglio europeo. A dimostrazione dell’importanza che i progetti spaziali comunitari hanno nella costruzione della “casa comune” continentale. E del ruolo che a sua volta l’Italia ha nella politica spaziale euroea. Ma il fiore all’occhiello dell’Italia – una scelta azzeccatissima, l’astronauta Luca Parmitano, appena tornato da sei mesi nello spazio con la missione “Volare” – rischia di rimanere, come spesso capita nei settori tecnologici e scientifici all’avanguardia, l’ennesimo spot della vita e della politica italiana, senza una reale ed efficace inversione di tendenza. Lo dimostrano pochi dati. Il Cnes (Centre national d’etudes spatiales), l’equivalente francese dell’Agenzia spaziale italiana, ha di recente reso noto uno studio relativo agli investimenti dei principali Paesi europei nel settore spaziale. La Francia capeggia la graduatoria, con circa 30 euro ad abitante (neonati e ultracentenari compresi), seguita dalla Germania, con 16 euro, e dal Regno Unito, con 6. Il paragone con gli Usa, nonostante i pesanti tagli ai fondi della Nasa, non regge: gli americani investono nell’Agenzia spaziale ancora l’equivalente di 46 euro a testa. E l’Italia? Nella graduatoria non è citata. Meglio. L’investimento pro capite italiano non arriva a un euro e mezzo a connazionale. Lo Stato gira all’Asi, infatti, poco più di 500 milioni di euro (quest’anno, per la precisione, dovrebbero arrivare, a consuntivo, 503 milioni), di cui però circa 400 sono automaticamente devoluti all’Agenzia spaziale europea. Facile fare i conti residui. Eppure, l’Italia è uno dei Paesi trainanti della politica spaziale europea. La tradizione tricolore nel settore è gloriosa. Il primo satellite europeo risale esattamente a mezzo secolo fa ed era un satellite tutto italiano che s’innalzò dalla base italiana San Marco, al largo delle coste africane. I primati italiani sembrano fatti per essere battuti da chi è partito dopo di noi. Ora, comunque, sarebbe folle ipotizzare una politica spaziale nazionale. E, proprio nella politica spaziale, la dimensione europea ha raggiunto i suoi più evidenti successi. L’Italia, però, per motivi politici, per amore della polemica, per connivenze con interessi stranieri, per semplice sfiducia nelle capacità nazionali, rischia di rimanere azzoppata anche in questa “competizione partenariale”. Le vicende dell’Asi sono la cartina al tornasole dell’interesse italiano per lo spazio. E del rispetto per le decine di migliaia di addetti che tra ricerca e industria lavorano nel settore. In questa sede non si vuole entrare nelle recenti vicende giudiziarie che hanno travagliato l’Asi, ma non c’è dubbio che il tiro sul bersaglio-Agenzia sia cominciato da lungo tempo. E con sospetti pretesti. Per anni si è cercato di accreditare che l’unica attività dell’Asi fosse la costruzione della nuova sede, faraonica, pletorica, costosa. Ma, oltre al fatto che si trattava di un progetto nato con precedenti amministrazioni dell’Agenzia, nel frattempo all’Asi non sono stati, come si dice, con le mani in mano. La politica spaziale del nostro Paese (e le attività industriali collegate, attraverso le joint venture italo-francesi Telespazio e Thales Alenia Space oltre che numerosissime imprese medie, piccole e piccolissime, tutte d’eccellenza) hanno inanellato una serie di successi. Il satellite Agile, il lanciatore Vega, il satellite di telecomunicazioni Alphasat (che ha segnato il ritorno italiano in questo settore strategico), la partecipazione in ruoli di primo piano nei mega-programmi europei Galileo, Egnos, Copernicus, la collaborazione (unica in Europa) con la Nasa, che ha permesso la missione “Volare”, le intese con le agenzie spaziali di Argentina e Cile, Russia e Giappone, Israele e Cina sono solo alcuni dei momenti rilevanti della politica spaziale italiana. Il rischio è che la presunta inaffidabilità italiana (l’inchiesta giudiziaria pende sempre come la spada di Damocle, che i concorrenti internazionali possono sfoderare al momento più opportuno per loro), unita agli scarsi investimenti, possa mettere all’angolo il nostro Paese. Proprio quando, anche in termini economici, può cominciare a capitalizzare i suoi meriti e il suo impegno europeo. Solo per i programmi Galileo e Copernicus il vicepresidente della Commissione europea, Antonio Tajani, prevede ricadute per 30 miliardi e 50mila posti di lavoro qualificati entro il 2030. Un’occasione ghiotta per l’Italia, che – con il solito autolesionismo – rischia di perdere.