Per un “cambiamento” di passo in politica estera e di sicurezza, il governo dovrebbe riprendere la rotta tracciata dai padri fondatori della Repubblica che, con coraggio e lungimiranza, ancorarono l’Italia all’Occidente, ritenendo che gli interessi nazionali potessero essere più efficacemente perseguiti attraverso una partecipazione attiva nelle istituzioni europee e atlantiche, da iscriversi nella più ampia cornice di riferimento delle Nazioni Unite. È in questo quadro che l’Italia ha sempre espresso la propria politica estera e partecipato alle missioni di mantenimento della pace.
Negli ultimi anni, questo assioma che ha sempre saputo coniugare il processo d’integrazione europea con un forte legame transatlantico, è andato smarrito. È venuto meno quell’equilibrio che aveva sempre sorretto il cammino della politica estera e di sicurezza nazionale, e che fondava la sua stabilità nella sinergia e nel bilanciamento dell’azione italiana su entrambi i pilastri dell’Unione europea e della Nato.
Mentre le Forze armate impegnate nelle missioni dell’Alleanza Atlantica continuavano a conferire credibilità al Paese, la politica estera italiana è apparsa sempre più velleitariamente sbilanciata a favore dell’Unione europea. Eppure, nonostante il semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea, le celebrazioni per i 60 anni dei Trattati di Roma e le diverse posizioni apicali ricoperte nelle istituzioni europee, oggi l’Italia fatica ancora a rompere un isolamento e a contrastare i pervasivi interessi carolingi.
Tuttavia, la Francia riveste un ruolo meno ambizioso in ambito Nato, con ciò lasciando ampi margini di azione all’Italia che può, in occasione del vertice di Bruxelles e nella successiva visita del presidente del Consiglio a Washington, porsi come credibile interlocutore per gli Stati Uniti in ambito Nato e come tale, rafforzare il ruolo dell’Italia anche presso le istituzioni europee. È, difatti, attraverso lo snodo transatlantico che l’Italia può più agevolmente recuperare il peso che le compete in Europa.
A tal fine, è opportuno ricordare che l’Italia: è un paese fondatore dell’Alleanza Atlantica e dell’Ue; ospita un numero di basi Usa e Nato sul suo territorio tra i più alti in Europa; ha seguito, più del Regno Unito, gli Usa nelle operazioni di mantenimento della pace; ha la responsabilità del comando delle forze terrestri della Nato response force; è alla guida della missione in Kosovo; comanda il Joint force command di Brunssum; si proietta con ottomila chilometri di coste nella regione turbolenta del Mediterraneo; dirige il neo costituito” Strategic direction south hub” presso il Comando alleato di Napoli; ha in fase di accreditamento il Centro di eccellenza (Coe) per la Security force assistance; infine, ha acquisito negli Usa importanti società come Chrysler e DRS.
Inoltre, un rafforzamento della politica estera in chiave transatlantica favorirebbe quelle industrie nazionali della difesa, con base negli Usa, che risulterebbe più difficile penalizzare nell’ambito dei nascenti progetti e finanziamenti europei per la difesa. Tuttavia, tali elementi andranno sorretti da una visione strategica e da impegni, anche finanziari, credibili. L’Italia si presenta al vertice di Bruxelles con istanze legittime, ma in controtendenza rispetto a quelle degli Alleati. L’annunciato ritiro di truppe dall’Afghanistan, così come le richieste di apertura al dialogo con la Federazione russa, dovranno comunque essere avanzate in maniera concertata con gli Alleati: pena l’isolamento e l’irrilevanza. Più che la logica del “dare” e “avere” vige nell’Alleanza una logica di solidarietà. Questa richiede, altresì, credibilità nel mantenimento degli impegni presi relativamente ai contributi di carattere finanziario, di capacità e alle operazioni della Nato. Impegni, alcuni dei quali, vedono l’Italia ancora distante dal raggiungimento degli obiettivi del 2% del Pil per la difesa assunti nel vertice del Galles del 2014.
I due appuntamenti transatlantici che a luglio attendono il presidente del Consiglio a Bruxelles per il vertice Nato e alla Casa Bianca, è auspicabile costituiscano due momenti di un’unica visione strategica. Un’Italia che sia in grado di rilanciare la rotta atlantica e attraverso di essa il proprio ruolo nelle istituzioni euro‑atlantiche, non solo sarà in grado di perseguire più efficacemente i propri interessi nazionali ma sarà, altresì, determinante nel qualificare i compiti che la Nato dovrà affrontare nella regione mediterranea.