I sei minuti di Schiaparelli raccontati da un astronauta

Di Walter Villadei

Sei minuti per l’ingresso e la discesa nella rarefatta atmosfera marziana hanno dimostrato di essere più complessi, e pericolosi, dei sette mesi di volo interplanetario. Se guardiamo alla storia dei voli spaziali, gli incidenti più gravi, quelli che sono costati vite umane, perdita di interi equipaggi, sono tutti avvenuti, fatta eccezione per l’Apollo 1, durante le fasi di volo atmosferico: al decollo o al rientro.

Ancora una volta le missioni di esplorazione spaziale, robotiche o umane che siano, rivelano tutta la loro complessità. Exomars è giunto su Marte, separando la sonda destinata a restare in orbita attorno al pianeta, denominata Tgo (Trace Gas Orbiter), dal lander, denominato Schiaparelli, progettato invece per scendere sul suolo marziano. Ancora una volta è la componente del volo “aeronautico” l’aspetto più rischioso e non facilmente prevedibile. Sei minuti per l’ingresso e la discesa nella rarefatta atmosfera marziana hanno dimostrato di essere più complessi, e pericolosi, dei sette mesi di volo interplanetario. Schiaparelli è “ammartato” ma il profilo di rientro non è stato nominale e dalle prime analisi sembrerebbe che il computer di bordo abbia spento i sistemi di retrorazzi troppo presto. Il centro Esoc in Germania sta ancora analizzando i dati per capire cosa sia successo realmente.

Si tratta di una lezione importante. Se guardiamo alla storia dei voli spaziali, gli incidenti più gravi, quelli che sono costati vite umane, perdita di interi equipaggi, sono tutti avvenuti, fatta eccezione per l’Apollo 1, durante le fasi di volo atmosferico: al decollo o al rientro. E d’altro canto è intuibile: un oggetto fatto per volare nello spazio non è ottimizzato per volare nell’atmosfera e viceversa. Un concetto semplice, che la tensione di queste ore contribuisce a rendere più vivo.

Come astronauta, tutto questo incuriosisce e appassiona, in previsione di una futura missione umana su Marte, dove gli equipaggi dovranno affrontare questo stesso ambiente operativo. Da osservare che la tecnologia per un rientro da atmosfera marziana offre diverse soluzioni che richiedono delle valutazioni di trade-off: da una parte quella basata su aerofreno e retrorazzi, usata nel caso di Schiaparelli come peraltro nel caso della Soyuz, sebbene con logiche di controllo differenti; oppure quella degli “airbags”, già utilizzati dalla Nasa per i recenti rover Opportunity e Spirit, che non è immediatamente scalabile per le masse e i volumi ipotizzabili nel caso di un equipaggio a bordo. Inoltre, la tematica costituisce uno spazio di indagine aperto che dimostra il forte connubio tra il mondo aeronautico e quello spaziale. Tuttavia, occorre da subito porsi le giuste domande e individuare i punti di criticità, sia tecnologici sia operativi, quale premessa per definire in modo efficiente i requisiti di missione ed orientare lo sforzo di ricerca e sviluppo che una missione umana su Marte richiederà. Anche a questo servono i fallimenti o i parziali successi.
Il presidente Obama ha recentemente dichiarato che gli Stati Uniti riusciranno a portare un primo equipaggio su Marte entro il 2030. Molti osservano che sarà comunque un’altra presidenza a dover trasformare questa dichiarazione d’intenti in un piano operativo concreto. Ma dichiarazioni di questo tipo, rappresentano pur sempre un punto di partenza e polarizzano l’attenzione. Alla Nasa hanno già sviluppato delle idee e sono al lavoro su alcune delle tecnologie abilitanti, sebbene non sia ancora emersa in modo chiaro una strategia che metta in relazione i vari possibili scenari: Luna, Asteroidi, Marte.

E L’Italia? Molte tecnologie per portare i primi essere umani su Marte mancano ancora all’appello e l’Italia può essere protagonista, disponendo di alcune tecnologie-chiave che pur dovranno essere migliorate per questa specifica missione: moduli abitativi, sistemi di life support, paracaduti avanzati per la manovre di aerobraking, sistemi radar, ed altre ancora che la filiera nazionale può assicurare, insieme ad una indubbia capacità sistemistica e di solida comunità scientifica. In tale ottica, il nostro Paese potrebbe ipotizzare di muoversi lungo due direttrici: da una parte una bilanciata contribuzione in Esa, e dall’altra una strategia di valorizzazione dei rapporti bilaterali, in primis con gli Stati Uniti ma anche con la Russia, in un’ottica di “best value for money”.

Indipendentemente dai tempi, comunque, appare logico pensare che una missione su Marte sia una sfida che potrà essere più facilmente vinta su scala globale con un vasto programma di cooperazione internazionale, sempre che non arrivi prima Elon Musk. Ma ciò, inevitabilmente, porterà con sé le più “prosaiche” logiche legate ai ritorni e alla protezione delle capacità industriali dei vari Paesi. A quel momento bisognerà arrivare già pronti e per esserlo occorre iniziare a prepararsi da subito. La distanza da Marte non è solo fisica ma anche temporale e il countdown per il decollo è già iniziato!

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