Sfila l'arsenale atomico della Cina di Xi Jinping

Di Francesco Pesce

Oggi la Cina ha celebrato con una parata imponente il settantesimo anniversario della vittoria nel secondo conflitto mondiale; oppure, per usare la definizione ufficiale del governo, della “vittoria della resistenza del popolo cinese contro l’aggressione giapponese e la guerra antifascista mondiale”. Per l’occasione hanno sfilato nel cuore di Pechino 12mila soldati, 200 aerei caccia e 500 mezzi terrestri, nella prima grande esibizione militare da quando il presidente Xi Jinping è in carica.
Per la prima volta sono stati mostrati al pubblico alcuni dei nuovi missili in dote al Secondo corpo di artiglieria, la componente dell’Armata di liberazione popolare che controlla i missili cinesi, inclusi quelli nucleari.
Hanno sfilato, tra gli altri, il missile balistico a corto raggio Dong Feng (letteralmente “Vento dell’est”), quello a medio raggio DF-21C e anche quello a gittata intermedia DF-26. Sono stati mostrati la testata del missile balistico intercontinentale DF-5B, il missile DF-31A, anch’esso intercontinentale, nonché il missile da crociera DF-10.
Tra questi la principale novità è probabilmente il modello DF-26, missile a gettata intermedia di 3-4mila chilometri prodotto dalla Società cinese di scienza e tecnologia aerospaziale. Invece il DF-5B, attrezzato per trasportare tre o più testate nucleari, non è una completa sorpresa: già a maggio il Dipartimento di Stato americano aveva anticipato in un report che Pechino si era per la prima volta dotata di missili “mirv” (multiple independently targetable re-entry vehicle). Altri osservatori asiatici menzionavano questo missile addirittura dal 2008.
E’ stato compreso nella parata anche un modello in scala del missile supersonico antinave YJ-12, dotato di statoreattore, il cui raggio è stimato tra i 250 e i 400 chilometri, in grado di viaggiare una velocità massima di 2.5 Mach.
“La Cina non cercherà mai l’egemonia sugli altri Paesi” ha assicurato il presidente Xi Jinping, annunciando inoltre un’inattesa riduzione di 300mila soldati su un esercito che conta oltre due milioni di effettivi. Questo decremento rassicura i Paesi vicini, ma dimostra anche una modernizzazione sostanziale delle forze cinesi.
La retorica di Pechino sullo sforzo bellico, costato alla Cina circa 20 milioni di vittime, esalta il ruolo svolto dal Partito comunista che oggi governa il Paese. Non sembra rilevare il fatto che all’epoca a guidare le truppe fosse il Kuomintang, il partito nazionalista che sarebbe stato relegato a Taiwan nel 1949, al termine della guerra civile che vide nascere la Repubblica Popolare.
Tra le autorità erano presenti il Segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon e la presidente della Corea del Sud Park Geun Hye. Sono mancati rappresentati di alto profilo da parte delle democrazie occidentali, che pure erano a fianco della Cina nel 1945. Gli Stati Uniti, per esempio, hanno inviato il loro ambasciatore Max Baucus. Ha invece accettato l’invito Vladimir Putin, a dimostrazione dei rapporti amichevoli tra Mosca e Pechino. Solo il mese scorso, i due Paesi hanno svolto le più significative esercitazioni militari congiunte nella storia delle loro relazioni.

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