Taxi volanti sui cieli delle nostre città, droni adibiti al trasporto merci e aerei realizzati anche tramite stampa 3D. Il futuro dell’aerospazio non è forse così lontano e tutto questo potrebbe diventare realtà tra qualche anno. Perché ciò avvenga, occorre prima di tutto simulare i prodotti e le tecnologie del domani, risparmiando su costi e tempi di sviluppo, ma assicurandosi al contempo che le performance restino al massimo livello. Ne abbiamo parlato con Paolo Colombo, Global industry director per l’aerospazio e la difesa di Ansys, società globale specializzata in software di simulazione numerica. Ci ha spiegato quanto conta nel settore dell’aerospazio e difesa poter testare virtualmente prodotti che ancora non esistono, quanto è rivoluzionario l’additive manufacturing e quanto lo sarà il quantum computing.
Ci spieghi prima di tutto cosa fa Ansys.
Con quasi cinquant’anni di età, Ansys è la maggiore azienda al mondo ad occuparsi di simulazione numerica. Siamo partiti a fare simulazione nell’epoca in cui si programmavano i computer con le schede, e ora, in pratica, aiutiamo le aziende a creare dei laboratori virtuali dove testare i prodotti prima ancora di aver realizzato il primo prototipo. In altre parole, forniamo la possibilità di testare virtualmente un prodotto che non esiste, ricorrendo a una piattaforma basata su solutori di fluidodinamica, meccanica strutturale e fenomeni elettromagnetici. Ciò permette alle aziende di vedere come il prodotto (che non esiste) si comporterà nel mondo reale, e dunque di provare tantissime idee diverse, di capire quale è la migliore, affinarla e giungere al processo di realizzazione. In particolare, proponiamo una piattaforma di simulazione su cui lavoriamo da oltre vent’anni. Permette di simulare in modo estremamente realistico qualsiasi performance, anche con modelli molto grossi che possono essere risolti in tempi rapidi grazie all’High performance computing (Hpc).
Quanto del vostro business è occupato dal settore dell’aerospazio e difesa?
Le posso dire che l’aerospazio e difesa rappresenta nel mondo la nostra seconda industry di riferimento, e in alcuni casi la prima. È sicuramente uno dei primissimi settori in cui storicamente abbiamo iniziato a lavorare e ora, per quanto riguarda le revenues, se la gioca con l’automotive. Quello che secondo me è interessante, è capire perché vendiamo i nostri prodotti più complessi a questi due comparti. Basti pensare che per realizzare un aereo occorre assemblare milioni di parti (il Boeing 78 ha circa tre milioni di pezzi), di sistemi che devono funzionare perfettamente, senza errori. Si tratta di settori in cui non è possibile sbagliare e in cui ogni componente deve essere molto efficiente. Ne consegue la difficoltà a progettare e testare i prodotti, elementi che ci portano dunque alla simulazione numerica. Non a caso, negli anni 50, fu per primo il settore aerospaziale, e Boeing in particolare, a iniziare a pensare a utilizzare modelli matematici per prevedere il comportamento di parti di aeromobili.
La digitalizzazione ha sicuramente avuto un impatto notevole su questi settori. La ragione è da rintracciare nell’esigenza di abbassare i costi di sviluppo o in quella di migliorare le performance e la qualità dei prodotti?
Direi decisamente in tutti e due. Da una parte, è vero che la simulazione numerica porta a risparmi notevoli, e lo dimostra lo studio condotto da Aberdeen Group che parla di una riduzione di nove volte in termini di tempi di sviluppo e di quattro volte per i costi complessivi di produzione. D’altra parte, è evidente che nel mondo dell’aerospazio il passo dell’innovazione abbia accelerato in maniera impressionate negli ultimi anni. Sentiamo spesso parlare di “urban air mobility” (i cosiddetti aerotaxi in città), di aerei in cui l’architettura elettrica prenderà il posto dei sistemi pneumatici e idraulici, e della propensione all’ibrido ed elettrico per velivoli delle dimensioni di un Airbus A320neo. Tutto questo ci porta verso situazioni in cui chi produce spesso non ha, per le nuove tecnologie, l’esperienza che possiede per quelle classiche. Ciò riguarda la necessità di investigare sistemi molto complessi e su cui non è possibile commettere errori. Poi, occorre acquisire velocemente esperienza nel campo della certificazione, con criteri che non sono ancora molto chiari. A fronte di una domanda in rapida crescita, senza strumenti digitali non sarebbe possibile affrontare i costi e i tempi di tutto questo, altrimenti insostenibili.
L’impressione è che il grande vantaggio della simulazione ingegneristica sia la possibilità di testare i prodotti in scenari che non sarebbe altrimenti possibile riprodurre, spesso addirittura più complessi della realtà stessa. È così?
Sicuramente questo è uno degli obiettivi della simulazione. Immaginiamo ad esempio il settore spaziale: che possibilità abbiamo di testare sulla Terra come si comporterà un rover su Marte? Alcune condizioni sono riproducibili solo attraverso simulazioni, con la possibilità di realizzarle non solo in tempo reale, ma anche in tempo accelerato. Passiamo per un attimo all’automotive. Nel 2016, Akio Toyoda, presidente e ceo di Toyota, ha affermato che per verificare che tutti i sistemi di un auto senza guidatore siano adatti ad evitare incidenti, servono 8,8 miliardi di miglia, pari a 14,2 miliardi di chilometri. È evidentemente impossibile costruire una macchina e farla viaggiare su questa distanza, sia per ragioni di costi, sia soprattutto di tempi. La stessa problematica si riscontra nell’urban air mobility, che si basa su sistemi pensati per due o per quattro passeggeri senza guidatore, perché altrimenti non sarebbero commercialmente sfruttabili. Il medesimo concetto vale per i droni che saranno utilizzati per il trasporto merci, una soluzione su cui il salone di Farnborough ha mostrato una tendenza in crescita. Per tutti questi prodotti diventa impossibile effettuare i test necessari senza l’accelerazione che la simulazione garantisce. Inoltre, simulando è possibile riprodurre quanti più scenari complessi, anche quelli estremi o poco probabili così da testare a pieno i margini di sicurezza.
E l’additive manufacturing? Perché è considerato così rivoluzionario?
È una tecnologia produttiva che sta portando e porterà a una grande rivoluzione nel settore aerospaziale. Tramite l’additive manufacturing si possono ottenere forme talmente particolari che è possibile risparmiare materiale e quindi peso, determinante su costi e performance. È possibile aumentare le prestazioni dei prodotti con forme estreme, anche se ci sono altri aspetti che spesso non vengono considerati. GE parla, ad esempio, di motori per velivoli che potrebbero vedere, grazie alla stampa 3D, una riduzione di componenti da centinaia a poche decine. Per l’industria aerospaziale ciò significa un grosso risparmio di tempo e di denaro non solo nell’assemblaggio, ma anche nella manutenzione. Significa dover gestire meno codici e ridurre le possibilità che le parti si rompono.
A questo sembra poter contribuire anche la simulazione.
La simulazione entra in gioco in diversi momenti, ad esempio quando è necessario ottimizzare la forma della parte togliendo materiale e rendendola più leggera restando sicuri che mantenga le prestazioni meccaniche. In questo settore, ogni grammo ha un effetto importante su carburante e peso. A tal riguardo, lo scorso novembre, Ansys ha acquisito l’azienda americana 3DSIM, creando grazie alle sue tecnologie una suite che serve a realizzare e ottimizzare le parti prodotte tramite additive manufactuiring. Operiamo dunque sulla parte industriale, andando a simulare la parte durante la sua costruzione, suggerendo il posizionamento dei supporti di stampa in metallo, verificando gli stressi termici e meccanici che potrebbe avere durante la produzione, e correggendo le imperfezioni.
Lei ha parlato anche di urban air mobility, ma quanto dovremmo aspettare prima di vedere taxi volanti sopra le nostre città?
Questo va oltre la tecnologia. Già esistono dei dimostratori, come quello di Airbus o quello cinese, ma abbiamo ancora delle limitazioni tecnologiche, legate soprattutto a batterie e accumulatori troppo pesanti e a densità di correnti molto basse. Si prevede tuttavia di risolvere tali problematiche in un futuro prossimo, mentre altra questione sono i buchi normativi e l’accettabilità dei nuovi velivoli. Ci sono esperimenti in corso ma è difficile indicare dei tempi. Sicuramente ci arriveremo. La questione non è se ma quando saremo in grado di avere convergenza tra la tecnologia, la normativa e l’accettabilità sociale. Nel frattempo, procedono ricerche interessanti per facilitare tutto questo. Ad esempio, è in corso un grosso lavoro sull’acustica dell’urban air mobility, teso a fare in modo che tali velivoli siano silenziosi. Poi, si sta studiano molto il tema dei codici di controllo e dei software embadded, per far sì che non si creino problemi in un ambiente che rischia di essere congestionato.
Stiamo parlando dell’era dell’Internet of Thigs, in cui tutti questi sistemi saranno connessi in rete, con la conseguente esigenza di protegge i dati, la vera ricchezza del terzo millennio. Quanto è importante il fronte della security?
Qui usciamo in parte dall’ambito di Ansys, anche se ovviamente lavoriamo sul lato della sicurezza per quanto riguarda la simulazione, consapevoli che tali tecnologie non possano essere scollegate. D’altronde, non è immaginabile che sia facilmente hackerabile un aereo senza pilota, e per questo l’attenzione delle aziende sui temi della cyber-security è estrema. Ad esempio, si sta parlando molto di canali criptati. Guardando alla possibilità di collegare un aereo in tempo reale con una stazione di terra, e idealmente con il suo gemello digitale (digital twin), il collo di bottiglia è rappresentato dal fatto che i sistemi dovranno essere dotati di antenne e strumenti elettronici per gestire in tempo reale l’enorme molte di dati. La simulazione entra in gioco per la possibilità di miniaturizzarli. Un start up americana che stiamo seguendo, Optisys, ha ridotto le dimensioni di un’antenna di cento volte grazie all’additive manufacturing e alla simulazione numerica, la quale gioca un ruolo fondamentale anche per l’integrazione sui velivoli.
Restando sui dati, cosa ci dice della quantistica? Quale è lo spazio per l’impiego del quantum computing sui sistemi aerospaziali?
È un tasto delicato. La cosa importante è la velocità dei computer. Un aereo produce mediamente da 1 a 3 terabyte di dati per ogni ora di volo. Anche se immaginiamo che una parte di questa quantità sia scremata da intelligenza artificiale (ed è una visione molto futurista), considerando quante migliaia di aerei ci sono in volo in ogni momento cominciamo ad avere la consapevolezza della mole di dati da gestire. A ciò si aggiunge la necessità di gestirli in modo molto veloce. Per questo, in Ansys già lavoriamo sull’High performance computing (Hpc). Lo scorso anno siamo stati i primi a lanciare sul mercato un simulatore in tempo reale (il Discovery Live, commercialmente disponibile) che sfrutta al meglio le tecnologie evolute di Hpc. Più forte è il computer più le tecnologie diventano potenti. Questo servirà, ad esempio, per riuscire a testare mille ore di volo in un minuto. Non sarebbe meraviglioso?