L’analisi, pubblicata sull’ultimo numero di Airpress, del presidente di SpaceLab e professore di Propulsione aerospaziale presso l’Università la Sapienza. Perché l’Europa deve cambiare politica industriale e difendere i propri lanciatori
Nel settore dei lanciatori spaziali, l’Italia può oggi vantare una posizione piuttosto consolidata, soprattutto in virtù della gestione degli ultimi anni. Nel recente passato, il governo ha supportato i programmi di sviluppo finalizzati ad accrescere la capacità industriale italiana, favorendo la credibilità del comparto nazionale, e consentendo ad Avio –l’azienda che realizza Vega, vero e proprio gioiello tecnologico – di divenire una delle poche società di lanciatori quotate in Borsa, a testimonianza di una capacità industriale di alto profilo.
Eppure, il mondo dell’attività spaziale è in grande movimento e saranno probabilmente necessarie altre iniziative istituzionali per consolidare e lasciare sviluppare le competenze raggiunte. L’ingresso prepotente di nuovi paradigmi di sviluppo, guidati dalla evidenza che le attività spaziali presentano ormai opportunità per avviare convenienti investimenti privati, l’impetuosa crescita di politiche industriali di “space economy”, in cui investimenti pubblici trainano importanti investimenti privati, stanno aprendo uno scenario di sicura crescita dell’uso di sistemi satellitari nei prossimi anni. Per lanciare satelliti servono ovviamente lanciatori spaziali e l’industria del settore si sta preparando a questa opportunità.
L’Europa si sta attrezzando a questo nuovo scenario con lo sviluppo del nuovo Ariane 6, un lanciatore di grandi dimensioni rielaborato dall’esperienza di Ariane 5, che utilizzando nuove tecnologie di manifattura, riducendo pesi e volumi e con un nuovo assetto industriale, promette una decisiva riduzione dei costi. L’Italia contribuirà all’Ariane 6 con i booster a solido P120, gli stessi utilizzati in sinergia nel nuovo Vega C e quindi per Avio si presenta una potenziale crescita del proprio ruolo e di produzione. Rimane tuttavia da verificare la capacità della nostra industria di essere competitiva rispetto alle offerte dei concorrenti mondiali, prima tra tutte SpaceX. È quindi una partita sfidante, ma è bene ricordare che l’azienda di Elon Musk potrebbe levare spazio nel mercato dei lanciatori pesanti, ma meno ai piccoli come Vega, che al tempo stesso copre il segmento di mercato di più sicura espansione: quello dei piccoli satelliti in orbite Leo. Le nuove tecnologie consentono infatti riduzioni di pesi e dimensioni dei satelliti, per cui, se si escludono i programmi delle grandi esplorazioni planetarie, il mercato progressivamente richiederà sempre più lanciatori in grado di operare principalmente per l’immissione in orbite non geostazionarie (Ngto) e soprattutto nelle orbite basse (Leo) con satelliti miniaturizzati, nano satelliti e CubeSat, che potranno avviare una vasta gamma di applicazioni, dall’osservazione della Terra ai processi di comunicazione satellitare.
L’Italia in questo senso appare in una fortunata situazione di privilegio. Anzitutto è alla testa di un progetto come Vega che vanta la partecipazione, oltre che del nostro Paese, di 13 diversi Stati europei e delle rispettive industrie. Inoltre, da tempo è stata avviata un’attività di ricerca e sperimentazione tesa a consolidare l’uso del Vega anche attraverso la propulsione liquida ossigeno-metano, un terreno innovativo in cui non si erano lanciati in molti. Così, l’industria e la ricerca italiane si sono affermate, anche grazie a uno specifico programma nazionale di sviluppo promosso da Asi e culminato nel maggio 2014 con il successo del test del motore Mira basato su propellenti ossigeno-metano, realizzato da Avio in collaborazione con i russi della KBKhA. I risultati hanno consolidato il nostro ruolo di primi attori in questo settore, consentendo all’Agenzia spaziale italiana di promuovere nell’ultima conferenza ministeriale dell’Esa lo sviluppo di questa opzione per il piccolo lanciatore europeo. Si è giunti pertanto nel 2016 ad avviare in ambito Esa il programma di sviluppo della futura versione di Vega – il Vega E –
una versione basata su un motore di stadio superiore a ossigeno-metano, nella quale l’Italia con Avio giocherà un ruolo da protagonista.
L’espansione del mercato dei piccoli satelliti fornisce quindi al settore dei lanciatori grandi opportunità, ma per passare da prototipi alla manifattura c’è ancora strada da percorrere. Per il nostro Paese sarà certo decisivo giocare la partita con una progettualità che coniughi capacità e sinergie di enti di ricerca e industria, come per esempio previsto nell’oggetto sociale di SpaceLab, nuova avventura della cooperazione Avio-Asi. In questo contesto si presenta però un vecchio problema, che da sempre penalizza il comparto dei vettori spaziali europei: i volumi di attività delle nostre industrie si realizzano infatti con un numero relativamente contenuto di lanci istituzionali europei, mentre gran parte dell’attività si ottiene con operazioni commerciali in favore di nazioni che non hanno disponibilità di lanciatori, ovvero verso operatori satellitari extra europei. Stati Uniti, Russia e Cina offrono invece alle loro imprese un numero di lanci istituzionali almeno doppio rispetto a quelli europei, consentendo quindi di rendere i loro costi competitivi sul mercato commerciale internazionale. Questo squilibrio potrebbe in futuro essere aggravato se verrà dimostrata l’efficienza dei lanciatori riutilizzabili in fase di sviluppo in industrie Usa come SpaceX, che giovano peraltro di supporti governativi mascherati, potendo beneficiare di lanci istituzionali Usa pagati almeno il doppio del prezzo di mercato.
È in questo senso sorprendente dover constatare che in un’attualità fatta di guerra di dazi industriali, l’Europa non difenda la propria industria del settore imponendo che almeno per i lanci di satelliti istituzionali europei venga fortemente contrastato l’uso di lanciatori non europei (statunitensi, indiani o russi). L’Europa, abbandonando un approccio talora opportunistico e tattico in un settore invece strategico, dovrebbe attivarsi al più presto per definire una “Fly european policy”, con lo scopo di massimizzare l’utilizzo delle capacità di lancio europeo per Ariane 6 e Vega-C per le necessità degli Stati membri dell’Unione europea. Tale azione, andrebbe peraltro nella direzione di assicurare ai Paesi membri la disponibilità dei lanciatori più affidabili al mondo a costi sempre più competitivi, contribuendo peraltro a incrementare il Prodotto interno lordo.
Un cambio di rotta andrebbe quindi messo al primo posto delle politiche industriali nazionali ed europee, impegnandosi in una partita da giocare con il necessario supporto governativo.In questo settore molto particolare, infatti, la sola industria anche con il supporto di sviluppi di componentistiche tecnologicamente innovative, non può vincere questo confronto senza poter contare su un sostegno politico dei governi teso ad allargare gli spazi dei prodotti che produce. In altri termini, all’interno della politica spaziale europea l’Italia parte bene. Il nostro Paese può contare sulla realtà di un lanciatore di grande successo, su capacità industriali uniche, tra cui avere per primi sviluppato motori che verranno utilizzati in futuro, e su una realtà scientifica che vanta risultati indiscutibilmente all’apice in ambito internazionale. Occorre però, anche uno sforzo governativo, teso a dialogare ed allineare sempre di più gli interessi di Francia, Germania, Spagna e Italia, ingaggiando un confronto anche con la Commissione europea che nel prossimo decennio sarà uno tra i maggiori utilizzatori delle capacità di lancio europee. Abbiamo tutto, basta non distrarsi e riuscire a mettere ogni componente a sistema attraverso i giusti passi politici, integrando le capacità industriali e scientifiche con quelle di indirizzo politico a livello europeo e internazionale.