UAV, CHIAMATA PER L'INDUSTRIA EUROPEA

Di Airpress online

La Commissione europea con la Comunicazione del luglio 2013, l’Alto rappresentante per la Politica estera e di difesa comune, e infine il Consiglio europeo di dicembre 2013 hanno indicato gli Rpas come una priorità militare e industriale per l’Europa. Lo scorso novembre, quando presso la European defence agency (Eda) i ministri della Difesa di Francia, Germania, Grecia, Italia, Olanda, Polonia e Spagna hanno firmato una lettera di intenti che incarica l’Eda di studiare un possibile programma di procurement congiunto per sviluppare e produrre un Medium altitude long endurance (Male) Rpas
I “droni” sembrano essere la nuova frontiera del progresso tecnologico nel settore dell’aerospazio. Con questo termine ci si riferisce ai Remotely piloted aircraft systems (Rpas), anche chiamati Unmanned aerial vehicles (Uav), cioè velivoli senza equipaggio a bordo che sono pilotati in remoto da una centro di controllo a terra, prevalentemente tramite comunicazioni satellitari. Non a caso, sia le Forze armate italiane sia l’Unione europea preferiscono il termine Rpas (tradotto in italiano con Aeromobili a pilotaggio remoto, Apr) per sottolineare che l’uomo rimane nel loop del comando e controllo del mezzo.
La massiccia diffusione degli Rpas sperimentata nell’ultimo decennio è dovuta principalmente a una serie di progressi tecnologici, in particolare nel campo dell’informatica, della sensoristica e delle telecomunicazioni, che hanno reso i vari sistemi e componenti più piccoli, leggeri, integrabili, e manovrabili in remoto. Non sembra però a disposizione nel breve-medio periodo né una intelligenza artificiale in grado di rendere gli Rpas completamente autonomi dal pilota situato nel centro di controllo, né quel salto tecnologico necessario perché le prestazioni di un Rpas siano comparabili con quelle di un caccia di quinta generazione come l’F-35.
Tecnologia a parte, diversi motivi politici ed economici sono alla base della diffusione degli Rpas, anche in Europa. In primo luogo, il fatto che possono essere impiegati in operazioni militari senza alcun rischio per gli equipaggi risponde alla crescente sensibilità delle opinioni pubbliche europee rispetto ai propri caduti in missioni internazionali. Dal punto di vista economico, o meglio dell’efficienza degli Rpas, indubbiamente il fatto di non dover avere a bordo i sistemi per garantire la sopravvivenza del pilota comporta un risparmio di spazio e peso, e quindi di costi per il procurement e l’utilizzo dei velivoli. Tale risparmio permette un maggiore raggio d’azione, anche grazie alla possibilità di poter imbarcare più carburante, e quindi di operare in teatro partendo da basi sicure situate al di fuori del medesimo. Inoltre, specialmente per le missioni di Intelligence surveillance target acquisition and reconnaissance (Istar), il fatto di poter alternare team di piloti nel centro di controllo permette di mantenere il Rpas costantemente attivo in un’area per giorni, se non settimane, rispetto al numero limitato di ore di volo continuative che può effettuare un aereo con pilota a bordo.
L’uso degli Rpas sta per aumentare anche per scopi non specificatamente militari, ad esempio per il monitoraggio dell’ambiente, la ricerca di sopravvissuti a disastri naturali o incidenti di varia natura, il controllo dei confini o di porzioni di territorio per il contrasto all’immigrazione clandestina o alla criminalità. Gli Rpas, come molti altri sistemi e tecnologie nel settore aerospazio e difesa, sono infatti intrinsecamente dual use, e possono quindi essere usati per scopi militari e civili da un ampio ventaglio di soggetti pubblici, quali le Forze armate, le forze di polizia o la Protezione civile. Il principale ostacolo a questo utilizzo è la mancata definizione – finora – di un’adeguata cornice giuridica a livello europeo e nazionale per il volo degli Rpas negli spazi aerei non segregati.
Dal punto di vista industriale gli Rpas rappresentano un bivio fondamentale per l’industria europea dell’aerospazio e difesa. Industria che all’inizio degli anni ’90 ha perso il treno tecnologico-industriale dei caccia di quinta generazione, stealth e net-centrici, perché i principali governi europei hanno deciso di proseguire con programmi nazionali (come in Francia) o di raccogliere i “dividendi della pace” disinvestendo nello sviluppo autonomo di capacità militari che in ogni caso sarebbe stato necessario acquistare entro un paio di decenni per rimpiazzare velivoli diventati obsoleti. Il risultato è che oggi l’unica opzione a disposizione dei governi europei per disporre di caccia di quinta generazione è l’F-35, tramite la partecipazione alla produzione del velivolo o il suo acquisto off-the-shelf – e bene ha fatto l’Italia a intraprendere la prima strada per aumentare i ritorni industriali, anche considerando che l’F-35 sarà acquistato da Paesi non europei quali Australia, Israele, Giappone e Singapore, ed è facile prevedere che altri acquirenti si aggiungeranno alla lista. Per gli Rpas si sta prospettando uno scenario simile: gli Stati Uniti hanno investito in questa nuova frontiera tecnologica già un decennio fa, e oggi stanno vendendo Predator e Reaper a compratori in Europa e altrove – un mercato mondiale da 5 miliardi di euro l’anno che si stima crescerà a 9 miliardi entro il 2018 – mentre gli europei hanno perso tempo e oggi sono ancora indecisi sul da farsi. Il rischio di perdere anche questo treno tecnologico-industriale è ormai evidente, e molto preoccupante per la relativa perdita del (risicato) vantaggio tecnologico che l’industria europea ancora vanta sul mercato mondiale dell’aerospazio e difesa (Stati Uniti esclusi), e quindi per la distruzione di capacità produttive, know how e posti di lavoro. Non a caso la Commissione europea con la Comunicazione del luglio 2013, l’Alto rappresentante per la Politica estera e di difesa comune, e infine il Consiglio europeo di dicembre 2013 hanno indicato gli Rpas come una priorità militare e industriale per l’Europa – per la quale è necessario un programma di procurement comune tra i Paesi interessati con il supporto finanziario anche delle istituzioni Ue.
Tale roadmap europea rischia di rimanere lettera morta se non c’è un forte, immediato e concreto impegno dei principali stati membri dell’Ue, che rappresentano tramite le rispettive Forze armate – ma non solo, visto il suddetto carattere dual use dei velivoli – i principali acquirenti di un eventuale Rpas europeo. Qualcosa si è mosso lo scorso novembre, quando presso la European defence agency (Eda) i ministri della Difesa di Francia, Germania, Grecia, Italia, Olanda, Polonia e Spagna hanno firmato una lettera di intenti che incarica l’Eda di studiare un possibile programma di procurement congiunto per sviluppare e produrre un Medium altitude long endurance (Male) Rpas. La lettera si aggiunge ad altre cooperazioni intra-europee già in corso, multilaterali e bilaterali: ad esempio, al programma Neuron, un prototipo di Rpas con capacità di combattimento che ha effettuato il primo test di volo a dicembre 2012, partecipano Francia, Grecia, Italia, Spagna, Svezia e Svizzera; a livello bilaterale Francia e Gran Bretagna sono al lavoro sul progetto di Rpas stealth Telemos. La principale sfida per i Paesi europei, come spesso accade nel campo del procurement militare, sarà quella di trovare un accordo per mettere insieme gli investimenti e dividersi i relativi contratti. Se questo accordo non si trova allora il persistere della situazione attuale, caratterizzata dalla frammentazione in programmi di procurement troppo piccoli e troppo lenti per sviluppare un prodotto in grado di competere con i concorrenti non europei, porterà a un risultato facilmente prevedibile: le Forze armate europee compreranno – o meglio continueranno a comprare – Rpas prodotti da industrie americane o israeliane, con tanti saluti ai posti di lavoro in Europa. Mai come in questo caso, l’unione fa la forza.
 
Alessandro Marrone

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