Cercare di avvicinarsi al Libro bianco come chi si accinga a recensire un libro qualsiasi è un approccio sbagliato. Ci si accorge subito che questo è atipico, anche nel genere. In effetti, differisce alquanto sia dagli analoghi prodotti francesi e britannici, sia dalla vision che ciascun presidente degli Stati Uniti è solito pubblicare. È piuttosto una summa contestualizzata di tutto ciò che sono state, sono e forse potrebbero essere le nostre Forze armate, dove si raccoglie l’esistente e lo si proietta nel futuro, ma senza tentare di quantificare. Si tratta di un’ottima guida concettuale, talvolta un po’ ripetitiva, ma in grado di promuovere proposte che, a volte, altro non sono che un remake di attività già avviate. O anche solo pensate. In altri termini, se qualcuno tra gli esperti cercasse di scoprire ciò che davvero è “nuovo”, per trovarlo faticherebbe parecchio. I primi tre capitoli rappresentano un quadro geostrategico da manuale e una missione delle Forze armate altrettanto classica, senza evidenti scostamenti. Conviene allora soffermarsi sui successivi cinque capitoli. Il quarto, tuttavia, inizia con le operazioni dell’ultimo ventennio, senza quindi includere la prima operazione bellica italiana dopo il 1945. È un errore, perché è stata proprio Desert storm ad aprirci gli occhi nel 1991, costringendoci a un duro confronto con la realtà. Corrette, ma per nulla nuove, le valutazioni sulle lezioni successivamente apprese alle quali l’attuale pianificazione, se non mutilata, sta già cercando di rispondere in modo adeguato. Il capitolo quinto, trattando della predisposizione e della prontezza delle forze, sembrerebbe voler entrare nel vivo della questione. In effetti, i titoli dei paragrafi trattano di livelli di prontezza, di preparazione, di installazioni, di poligoni e di demanio. Nella sostanza, si tratta della ripetizione di affermazioni – ineccepibili, ma non quantificate – già formulate nei capitoli iniziali, mentre l’approccio alle questioni demaniali si conferma essere quello riduttivo, in vigore da decenni. Di interesse, in quanto poco nota e poco pubblicizzata, l’esigenza di proseguire con la costituzione di Forze di riserva efficaci. Vengono elencati i criteri attualmente in vigore, configurandole soprattutto in unità complementari di specializzati. I capitoli 6 e 7 trattano di trasformazione, organizzazione, struttura e capacità delle Forze armate, ma anche qui i concetti generali e i principi ispiratori appaiono come ripetizione ampliata di elementi già contenuti nei primi capitoli o, comunque, di attività già in atto. Spesso fallite, ma di identico contenuto concettuale. Interessante la revisione della governance, in particolare dell’assetto di vertice politico (maggiori poteri) e militare (maggiore integrazione), revisione che non sarebbe stata necessaria se si avesse avuto il coraggio di completare quanto già previsto dalla cosiddetta Riforma Andreatta del 1997. Poco comprensibile l’evenienza di una proliferazione dei comitati interforze. C’è già quello dei capi di stato maggiore, occorre solo farlo funzionare secondo quanto previsto. In realtà, le strutture e le procedure proposte non sembrano discostarsi molto da quanto già in atto. Nemmeno il capitolo 8, che tratta di risorse umane rifacendosi in gran parte a normative e leggi recenti, è in grado di stupire per fervore innovativo. Ottimo, ben scritto e incisivo è invece il capitolo che tratta il rapporto tra industria e difesa. Come considerazione finale, si può affermare che i concetti riportati nel compendio – che ha valore di direttiva – sono generici, ma ampiamente condivisibili. Il Libro sarà utile nella misura in cui le ultime generazioni di “politici”, poco avvezze a discorrere di cose militari in termini non ideologici, avranno la pazienza di leggerlo, discuterlo e, perché no, cercare di farne tesoro.