L’impresa avviata dal ministro Pinotti con la redazione del Libro bianco della difesa, anche a un primo esame, appare di non facile né rapida concretizzazione: il modello di difesa che vi si prefigura, assai moderno e razionale, incide profondamente sulle attuali strutture, in qualche caso in modo quasi rivoluzionario ed è facile prevedere che nasceranno resistenze più o meno palesi, ma certamente determinate a preservare quanto più possibile lo status quo. Una prima osservazione è che la riforma Pinotti va ben oltre quella Di Paola (formalizzata con la legge 244, e che non è altro che una “pantografazione” in diminuzione) e si pone nel solco del disegno voluto da Andreatta nel 1997, poi sostanzialmente tradito e snaturato dal regolamento attuativo approvato dopo oltre due anni. Finalmente il concetto di integrazione interforze ha trovato un interprete politico ben determinato ad abbattere gli steccati che hanno fino ad ora impedito un impiego ottimale delle (modeste) risorse che il Paese dedica alla difesa: ecco allora che alle singole componenti viene lasciata la sola cosiddetta “logistica di aderenza”, mentre quella upstream viene accentrata alle dipendenze di un Direttore nazionale degli armamenti, diverso e separato dal Segretario generale e posto alle dipendenze del capo di stato maggiore della Difesa. Pur mantenendo un rapporto privilegiato diretto con il ministro, ecco che gli stati maggiori di forza armata vengono drasticamente ridimensionati a favore di quello della Difesa; un passo coraggioso è quello di prevedere che il giudizio sull’avanzamento nei gradi apicali (generali e ammiragli) venga attribuito ad una commissione interforze, sottraendo così l’alta dirigenza ai “ricatti” della propria forza armata: una vera e propria rivoluzione. Grande attenzione viene riservata agli arruolamenti e in generale alle questioni afferenti al personale: finalmente si avverte la consapevolezza che per le Forze armate il parametro “età anagrafica” ha un’importanza primaria e che pertanto il rapporto di impiego deve riflettere una specificità spesso invocata (soprattutto a fini retributivi), ma mai realmente rispettata; ne derivano meccanismi peculiari, bene analizzati nel documento, perfettamente condivisibili dal punto di vista concettuale e teorico, ma di difficile, se non dubbia, realizzabilità in un contesto sociale e normativo come quello nazionale: non siamo in un Paese anglosassone dove chi può vantare nel suo curriculum un periodo di qualche anno nelle Forze armate è attivamente ricercato nel mercato del lavoro. Occorrerà pertanto costruire attivamente percorsi di qualificazione, concordati con reciproco impegno tra la Difesa e tutti i possibili interlocutori – a partire da Confindustria – impresa non facile. Si parla anche diffusamente di costituire forze della riserva che, in caso di necessità, possano affiancarsi e aggiungersi a quelle della struttura permanente, a somiglianza di quanto avviene nella gran parte dei Paesi alleati: anche in questo caso si tratta di un passo rivoluzionario, che avrebbe anche effetti benefici sul rapporto tra Forze armate e mondo civile, rapporto indubbiamente affievolito con la sospensione della leva e il passaggio al “professionale”. In ogni caso, sui temi del personale ci si devono attendere resistenze a tutti i livelli e già si sono levate voci assai critiche da parte di alcuni settori della rappresentanza, ma non solo. Assai interessante l’accenno al futuro dell’amministrazione della giustizia militare penale per la quale, peraltro con grande cautela, si ipotizzano organi specializzati incardinati nel sistema della giustizia ordinaria, implicando così la scomparsa dei tribunali militari. Un’ultima osservazione, tra le tante che si possono e si dovranno fare, sulla legge di programmazione sessennale: nei programmi di ammodernamento maggiori sono assolutamente indispensabili sia al “cliente” (le Forze armate) sia ai “fornitori” (l’industria della difesa) la stabilità e la certezza nel tempo delle risorse per i programmi che si sviluppano in un arco temporale in alcuni casi superiore al decennio, esattamente l’opposto di quanto previsto dalla recente legge 244, che in nome di un puntuale controllo parlamentare sui maggiori programmi in realtà rischia di creare le condizioni per un deleterio micro management da parte di chi non ha la competenza tecnica necessaria: una legge di programmazione come quella ipotizzata nel Libro bianco, che prevede peraltro un atto di controllo di medio termine, oltre a quello ordinario dell’approvazione annuale del bilancio, metterebbe il Parlamento in posizione ottimale per un’analisi ragionata e coerente delle esigenze e degli sviluppi di tutte le componenti delle Forze armate, senza la deleteria frammentazione favorita dall’attuale quadro normativo. All’opera, dunque. La realizzazione di quanto previsto dal Libro bianco richiede una complessa e articolata revisione normativa; gli organi tecnici sono già al lavoro per predisporre procedure e norme, ma l’approvazione di tutto quello che servirà richiederà un impegno, che si protrarrà nel tempo, di tutte le istituzioni, a partire dal Parlamento. Buon lavoro!