Da molti anni è evidente che solo il mercato europeo e internazionale può offrire alla nostra industria la possibilità di realizzare attività proiettate su adeguati archi temporali, contrastando ciclicità e limitatezza della domanda nazionale, e raggiungere adeguate soglie produttive, consentendo di distribuire i sempre crescenti costi di ricerca e sviluppo dei moderni equipaggiamenti militari. Questa esigenza industriale si sta, per fortuna, accompagnando a quella delle Forze armate europee di avere mezzi comuni in grado di aumentarne l’efficacia militare, immediata e prospettica, e di condividere i costi di addestramento, supporto logistico e ammodernamento successivo.
Questo modello teorico “perfetto” si deve, però, misurare con quello “reale” in cui entrano in gioco gli interessi di parte (industriali e militari, troppo spesso mascherati da esigenze e requisiti diversi) e quello che resta uno dei maggiori ostacoli all’integrazione europea in questo campo: la sfasatura temporale di esigenze, disponibilità finanziarie, saturazione/vuoto produttivo.
In questi settant’anni gli Stati che oggi compongono l’Unione europea si sono mossi con grande autonomia nella scelta dei propri equipaggiamenti, anche se per lo meno in alcuni settori vi sono stati importanti programmi di collaborazione per sviluppare e produrre sistemi, se non proprio uguali, con un alto tasso di comunalità. Ma, ogni volta, si è dovuto risolvere il problema della sfasatura temporale che, spesso, ha comportato lunghe ed estenuanti trattative. Non a caso uno degli obiettivi dell’Edap (European defence action plan) è l’intervento del futuro Edf (European defence fund) e di altri strumenti di sostegno finanziario per consentire agli Stati membri di partecipare a programmi comuni, anche senza disporre inizialmente delle risorse finanziarie necessarie. Nel frattempo, e comunque anche in futuro, una soluzione integrativa potrebbe essere trovata nell’esperienza fatta dall’Italia con l’unità Lss (Logistic support ship).
All’inizio di questo decennio la Marina italiana aveva collaborato con quella francese per definire le caratteristiche di una nuova classe di navi per il supporto logistico che avessero anche significative capacità di autodifesa. Non avendo un elevato numero di unità combattenti, non è infatti possibile dover farle scortare sistematicamente. Quando, però, nel dicembre 2013 viene approvato il finanziamento del nuovo programma navale italiano, la Francia non è in grado di parteciparvi a causa delle diverse priorità di pianificazione. L’Italia è così costretta a partire da sola, ma prende due importanti decisioni per mantenere aperta la strada della collaborazione:
1) non modifica il progetto originario;
2) decide di affidare il programma ad Occar, l’Agenzia europea di gestione dei programmi di collaborazione con una decisione particolarmente coraggiosa perché, per quanto previsto dallo Statuto di Occar, fino ad allora l’Agenzia non si era mai occupata di programmi nazionali.
Su quest’ultima scelta ha sicuramente pesato la positiva gestione del programma delle fregate italo-francesi Fremm, grazie alla maggiore velocità e flessibilità delle procedure Occar rispetto a quelle nazionali e, per altro, utilizzando personale italiano. Ma l’elemento risolutivo è stato quello di voler confermare la volontà di perseguire la trasformazione in programma europeo. Il risultato è stato ora raggiunto e si sta procedendo agli ultimi adempimenti per l’ingresso della Francia nel programma Lss. Questa classe di unità potrebbe così diventare lo standard europeo, con ampie prospettive anche in campo internazionale (e, infatti, il Brasile sta già partecipando al programma come osservatore).
Da questa esperienza emerge, però, anche un altro insegnamento per la strategia industriale e tecnologica del nostro Paese in campo militare: bisogna definire programmi che, per la loro impostazione, rispondano alle esigenze delle Forze armate, ma, insieme, siano in grado di evolvere in collaborazioni europee (anche attraverso sviluppi tecnologici che qualifichino le nostre imprese) o entrare efficacemente nella competizione internazionale. Forze armate e industria devono prendere atto che, nel loro stesso interesse, il tempo dei programmi “autarchici” è finito per sempre.