Vulnerabilità cyber turca, un rischio Nato

Di Burak Ege Bekdil

Una sequenza di attacchi cibernetici che ha profondamente sconvolto il governo turno negli ultimi mesi ha sollevato preoccupazioni tra i funzionari Nato circa la vulnerabilità nella difesa cibernetica del Paese, secondo quanto riportano diplomatici ed analisti. A partire dallo scorso 17 dicembre fonti non identificate hanno diffuso registrazioni audio che apparterebbero al primo ministro Recep Tayyip Erdogan, i membri della sua famiglia, i ministri del governo, prominenti uomini di affari e dirigenti dell’industria mediatica – sullo sfondo di una vicenda di corruzione. Erdogan ha riconosciuto l’autenticità di molte delle registrazioni ed ha ammesso che il suo telefono “encriptato” è stato oggetto di intercettazioni, citando come primo responsabile dei fatti il suo ex-alleato (e ora rivale), un predicatore islamico a capo di un movimento globale che Erdogan afferma essere sostenuto da “potenze straniere” e un network di funzionari turchi che hanno creato uno “Stato parallelo” – il famoso “nemico interno”.
Una rivelazione ancora più imbarazzante è stata resa pubblica su YouTube lo scorso 27 marzo, contenente i dettagli di un incontro top-secret tra il ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu, il sottosegratrio agli esteri Feridun Sinirlioglu, il capo della National intelligence organization (l’agenzia di intelligence nazionale, ndr) Hakan Fidan e il generale Yasar Guler, vice comandante delle forze armate turche. Durante l’incontro, i quattro sono stati ascoltati mentre discutevano di possibili attacchi false-flag su obiettivi turchi in modo da trascinare Ankara nella guerra in Siria. Davutoglu ha detto che il contenuto “era largamente inautentico” e che la pubblicazione del video equivaleva ad una “dichiarazione di guerra alla Turchia”. Davutoglu e il generale Necdet Ozel, capo di Stato maggiore delle Forze armate, ha ordinato agli esperti e tecnici dell’intelligence di avviare indagini parallele sui leaks.
Lo scorso 18 aprile un ambasciatore Nato in Turchia ha affermato: “Le rivelazioni del 27 marzo dimostrano chiaramente che la Turchia è vulnerabile agli attacchi cibernetici. Potrebbe essere stato anche un caso di spionaggio militare, registrato e mai diffuso pubblicamente, ma piuttosto effettuato in un quartier generale nemico. Siamo certi che ci sono sufficienti ragioni di preoccupazioni dell’Alleanza circa possibili attacchi contro uno Stato membro”. Secondo questa fonte “le rivelazioni provenienti dalla Turchia e cominciate a metà dicembre sono il probabile frutto di uno scontro politico interno, ma dimostrano quanto la Turchia sia esposta ai rischi di attacchi più gravi, per esempio da Stati non membri della Nato e/o da organizzazioni terroristiche”. Un attaché militare della Nato ha affermato che lo scandalo “non è qualcosa che possiamo comodamente ignorare e ridurre a scontro interno politico tra gruppi rivali turchi.
Se la Turchia non può proteggersi contro questo tipo di attacchi cibernetici da parte di avversari politici non identificati, come proteggerà i dati di nazioni alleati da attacchi più gravi, da parte di rivali più pericolosi?”. I leaks sono considerati generalmente come l’operato di funzionari governativi legati a Fethullah Gulen, un influente an studioso islamico che risiede negli Stati Uniti e a cui fa capo una rete globale di scuole, imprese e fondazioni caritatevoli. A Gulen, un ex alleato di Erdogan, viene attribuita una rete di agenti all’interno del governo turco che secondo Erdogan sta cercando di rovesciare il suo governo con una campagna di imbarazzanti rivelazioni. Gulen ha negato con veemenza il suo coinvolgimento. Un altro attaché militare Nato ad Ankara ha affermato di “non sentirsi tranquillo al pensiero che siano uomini di Gulen. Se una rete clandestina può intercettare il telefono protetto del primo ministro per anni senze venire scoperta, questa è una minaccia all’alleanza. Ci aspettiamo che la Turchia contrasti meglio qualsiasi nemico, turco o non-Nato, in caso di attacchi cibernetici di questa importanza. Non è un fatto normale che ministri degli esteri si incontrino con i capi dell’intelligence nazionale e che il summit finisca su YouTube con ottima qualità sonora”. Ironia della sorte, gli scandali sono emersi mentre la Turchia affermava di essere in procinto di disporre di solide difese cibernetiche. Solo l’ultimo anno, il Paese ha ospitato circa una dozzina di conferenze sulla sicurezza cyber e sulle nuove tecnologie. Parlando all’ultima di queste in novembre il colonnello Cengiz Özteke, comandante della divisione dello Stato maggiore responsabile dei sistemi elettronici e della difesa cibernetica, ha affermato che le forze armate ora considerano la cybersecurity come la quinta arma del Paese. Murad Bayar, capo degli acquisti militari per un decennio ha detto in novembre che la difesa cibernetica “è diventata parte indispensabile della nostra difesa nazionale. Bayar, ora assistente speciale di Erdogan, ha anche affermato che il governo vede questi attacchi come “una minaccia alla sicurezza nazionale”.