Un 2016 spaziale, come è cambiata la corsa allo spazio

Di Stefano Pioppi

Potenze emergenti e compagnie private stanno diventando i nuovi protagonisti della corsa allo spazio. Rispetto al passato, la comunità spaziale internazionale diventa più ampia e complessa, offrendo opportunità di cooperazione ma anche occasioni per competere. Il 2016 è stato l’anno della sfida spaziale che la Cina ha lanciato all’occidente, ma anche di Elon Musk e Jeff Bezos

Oltre allo sviluppo tecnologico, componente più prevedibile dell’evoluzione dell’attività umana sopra l’atmosfera, ciò che sorprende della nuova corsa allo spazio sono soprattutto gli attori. Rispetto alla piuttosto semplificata corsa spaziale tra Stati Uniti e Unione Sovietica, è cresciuto il numero dei partecipanti ed è cambiata la loro natura, determinando un sistema internazionale composito che alterna competizione e collaborazione.

In ambito istituzionale, dalla fine della Guerra fredda, sono emerse alcune tendenze che più di altre risultano oggi determinanti nella comunità spaziale globale. In primo luogo, la cooperazione tra Stati Uniti e Russia, impensabile prima, è ora in grado di resistere nonostante la crisi dei rapporti sulla Terra. La Stazione spaziale internazionale (Iss) ne è l’esempio più evidente. In secondo luogo, l’aggregazione delle capacità del Vecchio continente nell’Agenzia spaziale europea (Esa); certo, come emerso nella ministeriale di Lucerna, l’Europa ha ancora ampio margine per crescere e competere, sistematizzando e organizzando meglio i propri sforzi. Infine, il terzo grande trend è stato e continua a essere il crescente impegno delle cosiddette potenze emergenti.

In questo senso, il 2016 è stato sicuramente l’anno della Cina. Potenza ormai affermata del sistema internazionale, Pechino vuole emergere anche oltre l’atmosfera con un autonomo accesso allo spazio. A 13 anni dalla missione Shenzhou 5 che portò in orbita Yang Liwei, primo uomo cinese nello spazio, l’Agenzia spaziale cinese (Cnsa) ha lanciato il suo secondo Palazzo celeste, la Tiangong 2. Poco dopo, la missione Shenzhou 11 vi ha portato a bordo gli astronauti Jing Haipeng e Chen Dong, tornati sulla Terra dopo oltre un mese. L’obiettivo resta la fase tre: il lancio di una stazione spaziale costantemente abitata, la Tiangong 3, previsto per il 2018. Quest’anno, hanno debuttato anche i nuovi lanciatori pesanti Chang Zheng (Lunga Marcia) 7 e 5, inaugurando tra l’altro la base di Wenchang, sull’isola di Hainan lungo la costa sud del Paese. Intanto prosegue lo sviluppo del numero 9, il modello super pesante della famiglia Lunga Marcia, pensato per l’esplorazione interplanetaria. A settembre è stato invece inaugurato nel bacino naturale della contea di Pingtang, nella provincia del Guizhou, il Five hundred meter aperture spherical telescope (Fast), il telescopio radio più grande e sensibile al mondo.

Intanto, assicurato l’accesso allo spazio, la priorità esplorativa resta la Luna. Nel 2013, la missione Chang’e 3 condusse sulla superficie lunare un rover in grado, nonostante i problemi di mobilità, di operare per 31 mesi. Le missioni successive sono ambiziose: nel 2018 dovrebbe partire Chang’e 4, diretto – il primo in assoluto – sul lato lontano della Luna; ancora prima (nel 2017) si prevede il lancio della missione Chang’e 5 per l’esplorazione robotica, la raccolta di campioni del suolo e il loro trasporto a Terra. Se, dunque, tra occidente e Russia il modello cooperativo va per la maggiore, la Cina rispolvera una competizione che appariva superata e si presenta con determinazione tra l’élite dello spazio.

Oltre ai trend istituzionali, c’è un’altra grande componente della nuova corsa: lo spazio commerciale. La space economy, intesa come leva di sviluppo economico, coinvolge necessariamente investimenti privati e nuovi attori che, altrettanto necessariamente, interagiscono con i tradizionali protagonisti dello spazio. Il 2016 è stato l’anno di SpaceX e di Blue Origin, ma anche dei loro fondatori Elon Musk e Jeff Bezos. L’azienda californiana ha realizzato nel corso dell’anno otto lanci con il Falcon 9, prima dell’incidente che a settembre ha visto esplodere il razzo a Cape Canaveral. SpaceX ha inoltre incassato una crescente fiducia istituzionale, aggiudicandosi, tra gli altri, il contratto Nasa (stimato intorno ai 112 milioni di dollari) per il lancio nel 2021 del satellite Swot (Surface water and ocean topography). A fare grande notizia sono stati soprattutto gli annunci di Musk: tra tutti, l’uomo su Marte nel 2024 e il lancio di più di 4mila satelliti per fornire connessione Internet ad alta velocità a tutto il globo.

Blue Origin ha puntato invece sul trasporto suborbitale e sulla reusability, altro campo in grande espansione. Lo stesso razzo, il New Shepard 2, ha realizzato con successo cinque lanci nel corso dell’anno dimostrando, nell’ultimo volo, anche il sistema di salvataggio in caso di incidente. L’azienda del fondatore di Amazon prevede un progressivo abbattimento dei costi e la realizzazione dei primi voli con passeggeri nel 2018. Lo spazio commerciale rischia così di divenire vera forza trainante delle attività spaziali, in una logica cooperativa forse indispensabile per mantenere competitività di fronte all’emersione dei nuovi attori istituzionali. La comunità spaziale cambia e si trasforma ponendo la vecchia guardia, soprattutto europea, di fronte alla necessità di un adattamento che sia rapido ed efficace, iniziando dal dopo-Lucerna.