Ecco come si muove il Paese nel settore dello spazio. L’analisi dell’astronauta Vittori

Di Roberto Vittori

Mi piace usare l’espressione “a piccoli passi verso il futuro”, per suggerire di focalizzarsi sui passi in avanti da fare in maniera semplice ma concreta, un cammino che seppur con le sue difficoltà è frutto dell’elaborazione di una strategia precisa. La via, aperta in questi anni dall’Agenzia spaziale italiana (Asi) con una serie di accordi con le più importanti agenzie spaziali e player industriali di mezzo mondo, è quella di tenere il sistema spaziale italiano al centro dei trend scientifici e tecnologici del futuro. Un percorso non facile per l’industria nazionale. Del resto non è agevole avventurarsi verso mete sconosciute, dove le vecchie consuetudini finanziarie guidate da esigenze politico-strategiche si sono trasformate in una complicata sfida, dove la tecnologia deve essere al servizio di modelli di business profittevoli.

Ma la nostra industria ha il supporto istituzionale, l’inventiva e le competenze necessarie. È un po’ come l’incerto e lieve viaggio in salita di una bolla di sapone. Nessuno può prevedere quando e se spiccherà il volo. Tutto è cominciato circa dieci anni fa, quando si è cominciato a parlare di spazioporti come opportunità per il nostro Paese; di suborbitale, di volo ad alta quota e di medicina aerospaziale; di condizioni geografiche e climatiche che fanno dell’Italia un perfetto candidato per diventare lo spazioporto europeo, grazie anche ai tanti aeroporti adattabili, tra questi molti dell’Aeronautica militare.

È la conferma di una chiara opportunità per stringere un accordo strategico con Virgin Galactic come un potenziale partner, il valore delle cui tecnologie forse non era ben compreso neppure dagli stessi americani. Un’occasione a lungo tempo non identificata con chiarezza. Forse anche perché le carte della space race sono state rimescolate a partire dalla fine del programma Shuttle e dalla conseguente dipendenza del mondo spaziale (americani in testa) dalle Soyuz russe come unico modo per raggiungere la Stazione spaziale internazionale (Iss). In quel momento il suborbitale era una strategia che evidentemente doveva ancora maturare. E poi… E poi le cose sono finalmente cambiate: riunioni a livello governativo dove si accentua il carattere strategico del sub-orbitale per le attività aerospaziali nazionali; decreti ministeriali che benedicono (in senso letterale); industrie che cercano di cogliere l’occasione per partecipare alla definizione delle strategie della nuova era della “Space economy” in versione made in Italy. Insomma, il “sistema” – passando da un totale disinteresse a un’appassionata partecipazione o addirittura competizione per occupare posizioni di valore – alla fine ha deciso di muoversi. Ed è una buona notizia.

In effetti, la speranza è che, tra alti e bassi, un filo conduttore ci sia. Quali sono quindi gli elementi della strategia? In primis, prendere consapevolezza che il suborbitale è il punto di partenza, il bivio da cui si procede sia verso il trasporto di futura generazione sia verso la rivoluzione dell’accesso allo spazio. Inoltre, per geografia, clima, infrastrutture (aeroporti) e passati investimenti, l’Italia ha una posizione di assoluto vantaggio nel contesto europeo e internazionale. Infine, i buoni rapporti e la complementarietà tra Asi, Aeronautica ed Enac rendono possibile ipotizzare un’efficace collaborazione istituzionale per creare i presupposti regolamentari e normativi per operare nella fascia aerospaziale in senso proprio, ossia oltre la fascia aeronautica e prima di arrivare in orbita. Strategia sintetica semplice e lineare; il livello di ambizione anch’esso proporzionato alle capacità e risorse disponibili; insomma: “a piccoli passi verso il futuro”. Ma attenzione, malgrado l’idea del futuro a piccoli passi sia rassicurante, la verità è che siamo nella non facile situazione di un treno lanciato ad alta velocità, perché così va il mondo. Ma senza saperne la destinazione. Forse la scopriremo presto, osservando il volo della bolla di sapone.